Cerca nel blog

giovedì 10 ottobre 2013

ANTOLOGIA POUNDIANA - Da Rapallo a Castel Fontana III°

Riccardo Maria degli Uberti

Nei primi sette anni del mio soggiorno in Roma la mia vita fu quella di tutti coloro i quali, avendo scelto la «parte perdente» e non volendo am­mettere che fosse, come taluni dicevano, la «parte sbagliata», cercavano di rifarsi una vita senza scendere a compromessi. Mentre i miei tenta­tivi, in un campo al quale non ero preparato, ebbero un ri­sultato disastroso, continuavo a seguire le vi­cende politiche, con una particolare attenzione per gli errori, le debolezze, le defezioni di chi avevamo creduto «dei nostri».
Rilevai così un articolo del «Merlo giallo» nel quale Pound veniva accomunato, come «tradi­tore della Patria», a Tokyo Rose, a Carlo Sforza e a «Lord How-How». Protestai con Alberto Giannini in un animato colloquio nel quale la carica di simpatia e di indubbia onestà dell'uomo mi disarmarono: ed egli pubblicò la mia rettifica sul «Merlo Giallo» del 7 settembre 1946. Non ho copia di quello scritto nel mio archivio: ma ne ri­mane traccia negli atti del processo che Pound subì a Washington, fra le prove a discarico.
Così pure di un articolo in difesa di Pound che Giannino Marescalchi pubblicò sul «Corriere della Liguria» nel 1956, ho traccia solo nella traduzione che Pound ne pubblicò, in appendice alla sua versione delle Trachinie di Sofocle: debbo dire che questo accostamento a Sofocle del sottoscritto ha provocato non poca ilarità fra i miei amici.
Nel dicembre 1953 era ripresa la mia corrispondenza diretta con Pound, col quale fino allora avevo comunicato attraverso la figlia Mary, spo­sata al principe Boris de Rachewiltz, che abitava appunto a Castel Fontana. Il 3 ottobre 1954, nel ringraziarlo per l’aver citato mio Padre nei Cantos LXXVII e LXXVIII, gli raccontai della tomba di Lapo a Vicenza e della premonizione di mio padre. Mi rispose preannunciando una ulteriore citazione, che venne pubblicata nella Section Rock Drill, dove mio Padre è ricordato due volte nel Canto LXXXIX. Infine nel LXXXXV è riportata la storia della tomba di Lapo:
«And over an arch in Vicenza, the stemma
the coat of arms, stone:“Lapo, ghibelline exile”
who knows but I also from some 'vento di siepe'
six centuries later, ‘degli Uberti’» .
In questi versi, scritti nel Manicomio criminale, Pound riportava le stesse parole del suo amico, e le commetteva ai secoli, come monumentum aere perennius.
Ritrovai dunque Pound, come ho detto, in Ca­stel Fontana, dopo la sua liberazione. Era ancora il colosso d'un tempo, i capelli non più biondo ramati ma grigi, un po' curve le spalle possenti.
Intorno a lui, nelle sale del castello piene di libri, gli oggetti salvati dal mio studio bombardato: le sculture di Gaudier-Brzeska, una statuetta d'una donna con un coniglio di marmo alaba­strino, una tigre in rilievo su una scheggia di marmo pario, un cerbiatto accovacciato; e c'era anche il clavicordium, una specie di spinetta che uno studioso di strumenti antichi, il Dolmetsch, aveva espres-samente costruito per lui e che era rimasto nella nostra casa di Roma.
Il poeta rimane al castello per tre anni, e non so se i buoni villici di Tirolo – Dorf Tirol in tedesco – si siano resi conto che l'ospite della Brunnenburg, quel signore anziano alto e atletico che alle volte saliva fino al villaggio, fosse il più grande Poeta dei suoi tempi. Si sarebbero certamente indignati se avessero saputo che quel si­gnore aveva scritto versi che – forse sotto l'influsso dell'atmosfera antiaustriaca che aveva respirato a Venezia – bollavano a fuoco il loro caro Kaiser Franz-Joseph, per noi Cecco Beppe l'Impiccatore:
«An because that son a bitch
Franz Joseph of Austria...(Canto XVI)
«And the Fräulein Doktor nearly wept over the Tyrol
being incapable of seeing [...] the century-old joke on Italia.
[...] they could sentimentalize over that lousy old
bewhiskered sonvabitch François Giuseppe, of whom
nothing good is recorded...». (Canto XXXV)
«And a greasy bastard in Austria
by name François Giuseppe... (Canto XXXVIII)
E potrei continuare: il loro Imperatore, l'Imperatore della loro vana nostalgia, è un son of a bitch, un lousy old sonvabitch, un greasy bastard. Son of a bitch – nella grafia poundiana sonvabitch – signifi-
ca chiaramente ‘figlio di puttana’, lousy significa ‘pidocchioso’, non occorre tradurre bastard; in quanto alle lacrime sparse sul Tirolo da Fräulein Doktor, si intende che essa era «incapace di vedere il giogo secolare sull'Italia». Dove joke, ‘giogo’, presenta un gioco di parole con joke ‘scherzo’, uno scherzo volto a danno di chi lo aveva fatto.
Fu dunque a Castel Fontana che vidi Pound per l'ultima volta, se ben ricordo nel '61. Un anno più tardi Pound lasciò l'Alto Adige, dividendosi come un tempo fra Rapallo e Venezia, e da allora non mi fu più possibile incontrarlo; per ragioni di la­voro e di famiglia non mi era possibile muovermi da Firenze.
Così non lo vidi mai vecchio, come lo raffiguravano le numerose fotografie che comparivano sulla stampa, in occasione di festival, di concerti, di incontri, tutte manifestazioni a me estranee. Egli vi si recava, doverosamente invitato, anche se spesso non capito, onorato ed ammirato.
Lo seguivo attraverso la corrispondenza con la figlia Mary e col genero, Boris de Rachewiltz, insigne egittologo e antropologo. Lo ritrovavo sfogliando le lettere scritte a mio Padre, ora con­servato, con il più breve carteggio con me, nella biblioteca dell'Università di Yale. Più tardi le mie visite a Castel Fontana ripresero, ma di Pound vi ritrovavo soltanto il ricordo. Un ricordo che si riallacciava alle visite a Rapallo, agli incontri a Genova negli anni felici e più tardi, a guerra iniziata, a Roma, quando già presaghi dell'imminente fine di un'èra, rimanevamo uniti nella nostra coerente fedeltà.
Visitando ora il castello, le sculture di Gaudier-Brzeska, e il clavicordium, rimasto tanto tempo in casa mia, mi parlano di lui. Lo strumento ora tace, ma se ne accarezzo le colonnine a spirale, i tasti di avorio ingialliti dai quali un tempo mi azzardavo a trarre qualche nota, mi sembra di evocare un genio sulla lampada di Aladino. In quelle sale Pound leggeva i Cantos ai nipotini, che lo seguivano attenti sulla loro copia del volume. Io ascoltavo la lettura, come un tempo a Rapallo, in silenzio.
Questa è la visione che evoco ogni volta che visito Castel Fontana, e riporto con me. È viva in me ora, mentre si celebra il centenario del Poeta. Cento anni, e lo ricordo ancora nella sua robusta maturità. Centoquattro ne avrebbe mio Padre che da quarant'anni ormai riposa «esule ghibellino in Vicenza»; mia Madre invece era coetanea di Pound. E come ricordo mio Padre ancora nel pieno vigore delle sue forze – quando lo lasciai, e non quando fu stroncato dal fuoco dei barbari – così sono lieto di non aver veduto Pound vecchio e malato, pur nella maestà del silenzioso isola­mento dei suoi ultimi anni.



D. Brullo


Genio: la capacità di vedere dieci cose dove l'uomo comune ne vede una e dove l'uomo di talento ne vede due o tre, più la fa-coltà di registrare questa percezione multipla nella materia della sua arte.
E. P., Jefferson and/or Mussolini.

O Dio,
o Venere,
o Mercurio protettore dei ladri,
prestatemi una piccola tabaccheria
o avviatemi ad un qualsiasi mestiere
che non sia
quello maledetto dello scrittore
in cui bisogna sempre
strizzarsi il cervello.

E. P., The Lake Island. .



Postilla in memoria di Riccardo Maria degli Uberti



RICCARDO MARIA DEGLI UBERTI
nei ricordi di un patriota dalmata
* Estratto da «La Voce del Sud» (Lecce, sabato, 5 aprile 1986, 3) sotto il titolo: Quel ragazzo mio compagno di giuochi, quell’Uomo di sì nobili sen-timenti. Autore: Eugenio Dario Rustia-Traine (* Sebenico 1907 + Trieste 1992: patriota, Volontario di guerra, docente universitario, scrittore, musico e atleta).

Qualche giorno prima dello scorso Natale, mentre rovistavo in una scatola di vecchie foto­grafie, ricordo di tempi andati, mi capitò fra le mani una piccola foto in bianco e nero, formato 6 x 6, con sul retro un'affrettata annotazione a ma­tita: ‘Sebenico 1919’. Era del mio caro amico d'infanzia Dick (all'anagrafe: Riccardo M. degli Uberti), compagno di giuochi, passatempi e alle­gre chiassate, cui noi ragazzi di Sebenico, suoi coetanei, partecipavamo nelle ore della giornata libere da impegni scolastici.
Sebenico (mia città natale) era allora retta dall'Amministrazione Militare Italiana, in forza delle clausole del Patto di Londra (26 aprile 1915), in base alle quali circa la metà della Dalmazia e delle isole adiacenti sarebbe dovuta essere assegnata all'Italia, a guerra finita.
Spalato era esclusa dal «Patto», come pure il resto della Dalmazia meridionale e relative isole.
Gli italiani di Sebenico fraternizzavano con le truppe di occupazione e in modo particolare noi ragazzi con i giovani figli degli ufficiali le cui famiglie erano venute al loro seguito a Sebenico.
(Nel 1919, nella cosiddetta Dalmazia del Patto di Londra nessuno dubitava che le clausole del «Patto» non sarebbero state integralmente applicate a fa­vore dell'Italia).
Governatore della Dalmazia e delle isole dalmate e cur­zolane era l'Ammiraglio Enrico Millo, che aveva la propria sede a Zara. Il padre di Dick, ufficiale superiore di marina, destinato al comando marines [= fanti di marina, S. Marco – n.d.c.] di Sebenico vi aveva fatto venire la con­sorte, donna Corinna e il figlio Dick.
Conoscerci e diventare amici fu tutt'uno e la nostra ami­cizia durò ininterrotta fino al 7 gennaio scorso, giorno in cui purtroppo Dick morì.
Dopo la guerra ci incontrammo a Firenze nel '74, dove mi ero recato per partecipare alle onoranze a Niccolò Tom­maseo (Sebenico 1802-Firenze 1874), nel centenario della morte.
La nostra corrispondenza post-bellica aveva preso l'avvio, però, fin dal maggio del '71. A ritrovarmi fu Lui. Rileggo con commozione la lettera che mi scrisse, che con­servo amorevolmente, e ne trascrivo alcuni periodi, che valgono la pena di essere letti, perché danno meglio di ogni altra descrizione l'idea della statura dell'Uomo e dei suoi nobili sentimenti.
«Chiarissimo Professore, rilevo il Suo nome dalla "Rivista Dalmatica" che per puro caso ho consultato presso la Bi­blioteca Nazionale centrale. Giunto ad un’età nella quale si vive principal­mente di ricordi - anzi, dovrei dire, in cui nei ri­cordi del passato si cerca di evadere dalla sgrade­vole realtà del presente – tutte le volte in cui leggo il nome di un vecchio Amico, io cerco di riprendere il contatto perduto: anche se questo è destinato, per forza di cose, a limitarsi ad uno scambio di lettere 'una tantum' che pertanto mi basta per aggiornare i ricordi lontani.
Premessa questa spiega­zione Le chiedo: è Lei forse il Dario Rustia che ebbi il piacere di frequentare a Sebe­nico nel 1919?
Se è Lei – ma in tal caso la presente sarebbe da volgere interamente al 'tu', e col 'tu' La prego di rispondermi – mi dia Sue notizie. [ ... ] Perché Lei possa identificarmi nei ricordi di quell'epoca Le dirò che, figlio d'un Ufficiale di Marina ero un ragazzetto di 10 anni, piuttosto grasso e robusto, occhi scuri, capelli a spazzola, vestito quasi sem­pre alla marinara [ ... ],
Se Lei è effettivamente il mio amico d'allora, La ricordo su per giù mio coetaneo, snello ed elegante, vestito per lo più di scuro (mi pare Lei fosse in lutto); era bruno di capelli portati lisci e con scriminatura, occhi scuri, colorito piuttosto pallido, era piuttosto riservato e fine, in contrasto con la chiassosa sbracatezza dell'ottimo Tonio Marassovich». Quel Dario Rustia ero effettivamente io e gli risposi su­bito dandogli ovviamente del 'tu' e di­cendomi meravigliato del fatto che a tanti anni di distanza egli ricordasse con nu­merosi particolari di avvenimenti, figure, luoghi e nomi di tempi così lontani dei quali nemmeno io serbavo memo­ria. La ripresa della nostra corrispondenza data, dunque, dal 1971 e prosegue ininterrotta fino alla sua morte che non lo cancella, però, dalla mia memoria [...].

Nel mese di settembre del 1985 aveva por­tato a termine la sua ultima fatica letteraria: Ezra Pound: da Rapallo a Castel Fontana. Me la mandò con una laconica de­dica: «da Dick, Settembre 85». Non gli risposi su­bito, per una serie di circo­stanze dovute soprattutto alle mie non buone condizioni di salute. Poi, improvvisamente, la notizia della sua morte apparsa su «Voce del Sud» del 18 gennaio di quest'anno, che la pub­blicò come cappello al suo ultimo pezzo giorna­listico: Ma la cometa mi ingannò [...]
Egli mi è sempre vicino e la sua 'passione dalmatica' (v. «Voce del Sud» dd. 3-12-83) con­tinua a tormentarmi come tormentò in vita Lui, dalmata di elezione, forse più dalmata di tanti al­tri, che si professano tali anche se non lo sono mai stati, nell'accezione del termine che Dalmazia vuole significare.

«Ma la cometa mi ingannò…»
 
L’ultimo scritto di R.M. degli Uberti dettato alla consorte Leopoldina e pubblicato dalla «Voce del Sud…» (Lecce, 18.01.86).



Riferimenti bibliografici


Ubaldo degli Uberti, Nei mari dell'Estremo Oriente, Milano 1933-XI; L'Ammiraglio Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Torino, 1935-XIII.
Giorgio M. Sangiorgi, Zibaldone di una battaglia.
Yvon de Bégnac, Colpo di Stato, Roma, 1960.

Inoltre, nella Bibliografia generale (pg. 153 sgg.):
Chung Iung 1945 e Doob 1978.
 

Una delle ultime lettere del Marchese Riccardo M. degli Uberti a Ferruccio Bravi con notizie sul carteggio fra Ezra Pound e il padre di Saturno Montanari poeta soldato, del quale il letterato statunitense tradusse in inglese alcune apprezzate liriche. .

«Stia 14. III.85 / Caro dott. Bravi, / La principessa de Rachelwiltz [la figlia di Ezra] mi scrive a proposito de “L’ultima ora”: / “Sì, l’ “Ultima ora” di Saturno Montanari è pubblicata insieme con altre 4 sue poesie in Traslation di E,P. (nuova edizione di Faber & Faber, London, uscita proprio in questi giorni). S. Montanari era un giovanissimo poeta italiano caduto sul fronte nel 1941. Suo padre mandò i suoi versi a mio padre, che ne tradusse subito alcuni. Il padre di S.M. rimase in contatto ma ormai da molti anni non ho più sue notizie. Se Bravi ne avesse, sarei contenta di sapere. Temo sia morto anche lui. Dovrebbe avere parecchie lettere di mio Padre – ma qualche collezionista le avrà già scovate… ». /Tanto le dovevo. Se ha qualche notizia, si metta in contatto diretto, oppure scriva. P.ssa Mary de R., Brunnenburg [Castel Fontana], 39019 Tirolo di Merano. Tel. 0473/93303. / Cordiali saluti / suo R.d.U.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.