Cerca nel blog

sabato 6 ottobre 2012

GLI ARDITI DEL MARE

Il 22 p.v. il nostro illustre amico Emilio Bianchi compirà i cento anni, tondi tondi.

Chi  non ha letto il suo Diario di guerra e di prigionia, deve sapere che il capitano Bianchi è decorato di M.O. per aver fatto saltare con Durand de la Penne, nel porto di Alessandria, la “Valiant” che non era una navicella da poco, ma di stazza era la seconda unità navale al mondo (32.000 tonn. – la prima era la nostra “Littorio” di 35.000  tonn.).

Per il giorno 20 hanno invitato il co-autore del Diario, Bravi, a parlare del valoroso capitano e del libro con una chiacchierata celebrativa a cui assisteranno anche giornalisti dei quotidiani locali ("La Nazione" e "Il Tirreno").

Purtroppo Bravi è in partenza per Caracas e non potrà aderire all'invito. Pertanto ha redatto un testo utilizzabile dal relatore che lo sostituirà e dagli anzidetti quotidiani.

Quanto segue è ciò che verrà letto alla conferenza.

 

PAGINE DI DIARIO 1940-1945
di Emilio Bianchi
con note e parerghi di Ferruccio Bravi
_________________________________________________


  1. Presentazione del Diario di Bianchi 
  2. Il Comandante
  3. Un ardito del Mare
  4. Gli Uomini-siluro 
  5. Kshatriya d’Italia 

    Referenze:
    Pezzini Editore, Arti Grafiche “Mario e Graziella Pezzini”, Viareggio, – p.e. www.pezzinieditore.it
    Dott. F.Bravi, direttore del Gruppo di studio “Auser”, via Gramsci 115, 55049 Torre del Lago Puccini (Lu) – cell. 348.6001618 – p.e. silvalentauser@hotmail.it
    Segreteria del Gruppo di Studio “Auser” p. Sandro Righini, via Valenzana di Sotto, 89, 55050 Bozzano (Lu) – tel. 3475660359 – p.e. righini.sandro@gmail.com

    1....PRESENTAZIONE delle due prime edizioni del volume (relatore: il co-autore F. Bravi) in più sedi di associazioni combattentistiche e d’arma delle province di Bolzano e Trento negli anni 1996 e 2000. Il testo è tratto dalle rispettive registrazioni e aggiornato alla ristampa della terza (a. 2008) edita nel corrente anno 2012 dalla Pezzini di Viareggio.

    Presentare un libro è fuori moda. L’incalzare del progresso ha ricacciato in re-trovia le pagine stampate: la TV, la navigazione in rete, il DVD e altro ancora monopolizzano l’informazione e la gente comune non ama più la lettura. In un sonetto del poeta vernacolare Belli un forbito predicatore ammoniva i fedeli con la pia esortazione: “I libri non son roba da cristiani / figli, per carità, non li leggete!” Mai come oggidì fu osservato con altrettanto scrupolo questo precetto.
    Un libro che merita comunque d’essere letto è Pagine di diario 1940-1945 – Memorie di guerra e di prigionia di un operatore dei mezzi d’assalto. L’autore, ben noto soprattutto in Lucchesia, è Emilio Bianchi Medaglia d’Oro al Valor Militare, protagonista della leggendaria missione compiuta nel porto di Alessandria d’Egitto dagli uomini-siluro della Decima Mas nel corso del secondo conflitto mondiale. Per giudizio unanime quella missione fu la più fortunata: “In una sola notte il potere navale nel Levante Mediterraneo si capovolgeva in senso sfavorevole agli Alleati. Si dubita che mai, nella storia navale del mondo, sei soli uomini siano riusciti a determinare una distruzione così risolutiva”. Il testuale non è retorica patriottarda degli “anni ruggenti” ma equanime riconoscimento dell’avversario, espresso dall’ufficiale del Servizio Informazioni britannico Frank Goldsworthy.
    Il Diario di Bianchi è piano e scorrevole, si lascia leggere: in questo suo unico libro l’autore ha dato prova di talento narrativo. Il testo è tutto di sua penna e l’intervento del curatore dell’edizione, Ferruccio Bravi, non è andato oltre il cauto consiglio e qualche occasionale suggerimento d'ordine stilistico. Bravi, di suo, ha redatto il commento e l’apparato critico oltre che la composizione grafica, prestazione umile eppure gratificante. Dal reciproco aiuto, lui che in guerra non fu marinaio ma semplice fante, ha tratto profitto nella stesura del commento e delle note.
    Bianchi è uomo di mare venuto dal monte: tiene del macigno, è padrone di sé nelle situazioni difficili e di estremo rischio. A convalidare questo giudizio basti un solo particolare della sua avventura.
    Nella notte di Alessandria, fra le ostruzioni del porto, il suo mezzo d’assalto si blocca per un appiglio e l'esito dell'azione sem­bra compromesso. Ebbene, Bianchi non si sgomenta, non dispera, ha solo un moto di rabbia, si ribella alla prospettiva del fallimento a un passo dalla preda: raccoglie le sue forze e assesta l'energico scrollone che libera il mezzo. E quando, al termine dell'azione, si trova sotto le lame dei proiettori nemici che lo inquadrano, egli resta immoto sull'acqua per lunghi minuti a riflettere calmo “sul da farsi” benché nella situazione in cui si trova saranno comun­que gli altri a decidere.
    Non meno degli altri incursori, Emilio Bianchi è un signore, nel senso tradizionale del termine. La severa scuola di Bocca di Serchio temprava il carattere non solo militarmente: da quella scuola uscivano non soltanto eroi, ma uomini versatili degni della Rinascenza, uomini supe­riori anche per virtù civili, come se li sognava il pensatore Nietzsche, nella sua lucida follia: impavidi innanzi al nemico, generosi verso gli altri, onesti con se stessi, cortesi sempre.
    Chi si è formato in quella scuola le ha tutte quelle grandi virtù e, in più, se non si è montata la testa, sa anche essere semplice e schietto, modesto d'una modestia spontanea che ti ridimensiona, che ti obbliga a darti una regolatina. La boria è caratteristica dei dap­poco e la semplicità è dote dell'uomo che vale. Leonardo da Vinci soleva dire che “La spica vòta leva la testa al sole, la spica piena china la testa verso la terra sua madre”.
    Sappiamo che Leonardo, nostro sommo scienziato, intendeva il senso nobile della vita umana. Il suo Uomo Vitruviano, circoscritto nel cerchio e nel quadrante, è simbolicamente nudo, è spoglio delle vanità del mondo e dei bassi istinti. Oggi che l’istinto e la vanità hanno sommerso i grandi valori l’Artista traccerebbe il cerchio con minor raggio, circoscrivendo la bocca, il ventre e l’inguine. All’esterno del cerchio resterebbe tutto ciò che conta poco o nulla nell’attuale civiltà dei consumi: il sapere, il vedere, il moto degli arti (salvo il dito puntato sul prossimo o pigiato sui tasti del giocattolone chiamato ‘computer’). Ed è lì, fuori del cerchio che si risiedono e si riconoscono i valori epici degli assaltatori e la saggezza antica fondata sul “Cogito ergo sum”. Per la saggezza moderna vale il “Digito, ergo sum”.
    Tornando al tema la Medaglia d’Oro Bianchi fra i tanti pregi acquisì anche quello di narratore. L’amico Bravi ricorda che una quindicina d’anni fa gli disse quasi per gioco: “Dài, Emilio, butta in carta i tuoi ricordi di guerra e di prigionia”. Lui, restio, si schermiva. Forse il tono del discorso lo infastidiva. L’amico mise il be-molle in chiave e, con una punta di malizia, insistette:”Devi farlo: non per te, ma per gli altri. Le azioni di Gibilterra e di Alessandria sono nella Storia. Sono patrimonio morale del nostro popolo, apparten-gono alle generazioni venture. La nostra discendenza le deve conoscere, se non per altra ragione, per non doversi vergognare di tutto quel che è accaduto poi...». Il suo fu un discorsino sua­dente, e sotto sotto c'era un innocente ricatto. Emilio ci pensò alquanto, poi decise.
    Bisognava vederlo lavorare l'estate nella sua canti­netta, un cubattolo fresco e tranquillo dove si accedeva per una scaletta di ferro e dava proprio l'idea d'una cambusa: là sotto, seduto ad un piccolo tavolo fra le da­migiane, riempiva tranquillo con la sua scrittura pulita, un po' spigolosa, dei grandi fogli quadrettati che poi passava a Bravi per le note e la composizione grafica. Non che lo scrivere fosse per lui un diversivo di tutto riposo e senza rinunce: anzi, aveva messo da parte qualche svago innocente, più d'una partita di bocce in pineta, dove si ritemprava negli afosi pomeriggi d‘estate.
    Il racconto di Emilio è una confes­sione limpida, senza vanagloria né vittimismo. Seguendolo passo passo anche l’amico acquisì la stoffa del narratore e non sfigurò nel Commento. Le sue cognizioni militari erano limitate a esperienze di guerra da fante affardellato, ma nella circostanza egli acquisì non soltanto il senso della misura e lo stile del narratore, ma anche una scorta di cognizioni marinare necessarie alla stesura del Commento e del corredo di note che andava digitando al “computer”.
    Si suol dire “Libri sua fata habent”: i libri hanno un loro destino, una loro sorte buona o cattiva. Il Diario di Bianchi ebbe un destino splendido: la prima edizione smaltita in un anno seguita da una ristampa e da una seconda edizione in breve tempo esaurite. Una terza edizione, ridotta, fu stampata a insaputa degli autori e dell’editore Pezzini di Viareggio da una editrice milanese e venduta on-line dalla Hoepli, una delle più prestigiose case librarie italiana.
    Sulla scia del successo del Diario Bravi ha pubblicato una rielaborazione ampliata e aggiornata del Commento, un volume alquanto smilzo di 150 pagine stampato dalla Tipografia editrice “La Reclame” di Trento. Vi sono esposte in generale le azioni dei mezzi d’assalto della Decima Mas. Oltre che di Emilio Bianchi vi si parla di Teseo Tesei ingegnere ufficiale del Genio Navale che progettò, costruì e pilotò il siluro a lenta corsa da lui chiamato “maiale” per la sua forma inelegante. E con quell’ordigno di micidiale potenza saltò in aria nella sfortunata e pur gloriosa incursione nel porto di Malta nel 1941. Accanto a lui si colloca la figura mistica di Salvatore Todaro, leggendario eroe del cielo e del mare. Invalido per un incidente di volo poteva ritirarsi a casa sua in pantofole e godersi una pensione privilegiata, ma lui la cosiddetta guerra “non sentita” la sentiva: passò ai sommergibili e mandò a picco in Atlantico 30.000 tonnellate di naviglio americano. Poi compì 13 missioni di guerra coi mezzi d’assalto nel Mar Nero e sul finire del ’42, rientrando da una missione contro gli invasori in Algeria fu ucciso da un mitragliamento aereo.
    Vi si parla ancora di tre Medaglie d’Oro istriane: Licio Visintini dilaniato nel porto di Gibilterra nel tentativo di assalire una corazzata inglese, e due compagni di Bianchi affondatori di una seconda corazzata inglese nel porto di Alessandria. Con loro sono ricordati altri dieci operatori di mezzi d’assalto dalmati e giuliani a difesa della Patria e in particolare delle loro terre insidiate dagli slavi. Uno di loro, Antonio Marceglia formulò una profezia purtroppo avverata: “Per noi giuliano-dalmati una guerra persa sarà sempre una guerra persa due volte”.
    Dal Comandante della Decima all’operatore più basso in grado – quale fu l’istriano Schergat – ciò che rende meravigliosa la tempra di questi eroi è soprattutto il loro stoicismo nel rassegnarsi alla morte o alla prigionia pur di infliggere all’avversario il massimo danno materiale. Esponevano la loro vita e risparmiavano la vita altrui: su una trentina di assaltatori decorati di Medaglia d’Oro più di un terzo si immolarono nell’azione, senza causare perdite umane in campo avversario, salvo due sentinelle inglesi (una a Malta, l’altra a Gibilterra) annegate per loro balordaggine.
    La guerra è deprecabile, d’accordo, anche quando è sacrosanta e quindi necessaria, secondo un equo giudizio di Tito Livio. Ma c’è modo e modo di guerreggiare. I Romani definivano lo scontro armato col termine BELLUM, da duellum, vale e dire scontro cavalleresco ad armi pari. Con le invasioni barbariche penetrò anche in Italia il termine germanico WERRA che significava “mischia disordinata”, sporca guerra con strage e saccheggio. Adesso la guerra è più sporca che mai: è aggressione a scopo di rapina (e non solo di petrolio), mena stermini orrendi, soggioga i popoli al sistema del vincitore, toglie loro l’indipendenza. Ed è regola che i sovrani o capi di governo sconfitti siano indiscriminatamente assassinati, anziché essere civilmente processati e condannati.
    Tornando al passato che, come ogni tempo, ha le sue ombre ma anche le sue luci, dobbiamo dare a ciascuno il suo: il comportamento civile oltre che eroico di Bianchi e degli altri uomini-siluro è edificante e, per contro, bisogna riconoscere che anche l’avversario in determinate circostanze dimostrò senso d’onore e sentimento di umanità, almeno nei confronti del nostri prigionieri. Dal racconto di Bianchi sappiamo che i detentori inglesi erano gentiluomini, rispettavano la dignità della persona umana, almeno quando l’internato meritava rispetto. Questo non alleviava tuttavia le sofferenze connesse alla condizione del prigioniero, privato della libertà che per l'Uomo degno di questo nome è un bene supremo. Nella memoria di Bianchi e in una cinquantina a dir poco di pubbli- cazioni in argomento, troviamo pagine e pagine stillanti dolore e nostalgia, pagine su pagine che vanno ad aggiungersi al gran libro dei sacrifici d'una guerra perduta.
    Sacrifici inutili dicono e ripe­tono da stuccare coloro che in guerra non ci sono stati. Emilio Bian­chi c'è stato e almeno lui, a buon diritto, avrebbe dovuto porre la domanda: A che è valso il nostro sacrificio? La risposta è nel testamento spirituale dell’eroe istriano Licio Visintini, l’uomo-siluro immolatosi a Gibilterra lottando e sfidando la morte che dà alle nostre anime la pace eterna dopo una vita impiegata coscienziosamente al servizio della Patria. Visintini morì giovane, Bianchi reduce di una impresa non meno rischiosa fu risparmiato e ora compie i cento anni. Nel sacrificio supremo servendo un ideale supremo l’eroe di Gibilterra sovrasta l’eroe di Alessandria ma non ne oscura la fama.
    Sacrificio è termine bandito dalla coscienza collettiva attuale. Eppure, nessun sacrificio è vano, neanche nel deserto che ci circonda. E il ricordo degli eroi che hanno immolato o rischiato la vita per servire un ideale è l’unico testimone che possiamo passare alle future generazioni

    2....IL COMANDANTE Nel volume Un po’ fuori del mondo e del tempo... di Ferruccio Bravi è tracciato – con dettagli ignorati o taciuti dall’informazione conformistica il profilo biografico di una Medaglia d’Oro che alla nobiltà di sangue unisce una sublime nobiltà d’animo, un ardimento, una generosità, una rettitudine esemplari: il Principe Iunio Valerio Borghese, Comandante interinale e poi effettivo della Decima Flottiglia Mas. A bordo del leggendario sommergibile Sciré, fra innumerevoli insidie, accompagnava gli arditi del mare in vista degli obiettivi nei porti del Mediterraneo. Era oggetto di ammirazione degli stessi arditi del mare che ne apprezzavano il coraggio, l’intelligenza e la profonda umanità.
    È retaggio regale far bene ed essere vittima di cattiva fama: così fu per il Comandante esaltato a suo tempo e, per contro, emarginato ed infamato nel clima di guerra civile che dalla disfatta del 1945 divide gli animi degl’italiani. Calunnia e fango a non finire oltraggiano questa figura meravigliosa che, dal vertice all’ultima recluta della Decima Flottiglia Mas, aveva fatto di essa la punta di diamante delle nostre Forze Armate nella guerra sciaguratamente perduta. I calunniatori lo hanno chiamatoPrincipe Nero”, l’hanno marchiato di fascismo con implicita licenza di eliminarlo anche fisicamente, l’hanno incolpato di stragi inesistenti e incrimina-to come “golpista”. In un opuscolo a lui dedicato – Squarci di controstoria: il Principe Junio Valerio (Lucca, 2004) – il Bravi ha smentito i denigratori documentando la verità: il Comandante Borghese fu Italiano e basta. Italiano esattamente come me, nel mio piccolo, se è lecita una comparazione: Lui per nobiltà e ardimento, io per obbligo morale verso i miei antenati garibaldini e irredentisti trentini. Borghese fu semplicemente italiano, non fascista, né antifascista; e oppose la sua caparbia italianità ai nazisti che l’avversavano e meditavano, non meno dei terroristi partigiani, di assassinarlo all’americana.
    Diciamo pane al pane e vino al vino: il voltafaccia dell’8 settembre mutò un alleato antipatico e arrogante in nemico invasore dal nord e in “liberatore”un nemico invasore dal sud. L’ex alleato, che ci accusava di tradimento, tradì a sua volta gl’italiani che non avevano tradito e l’ex nemico alla resa dei conti ce la fece pagar cara privandoci dell’Indipendenza nazionale, conseguita con enormi sacrifici, e di estesi lembi di italianissime terre. Dopo l’infausto otto settembre ognuno di noi soldati dové fare una scelta comunque balorda. Quanto quella medievale imposta dal duca di Milano ai messi del Papa: o mangiare o bere, o ingollare la bolla di scomunica o morire affogati. Come poteva scegliere Borghese? Da nobile qual era non poteva mancare alla parola data all’alleato, ma nemmeno sottomettersi. Proseguì la guerra per conto suo come un capitano di ventura e ne pagò le conseguenze: fu esposto al fuoco dei tedeschi e dei partigiani e fu arrestato per ribellione alla Repubblica del Nord; all’opposto versante dell’Italia divisa l’eroico comandante Fecìa di Cossato, fedele alla Monarchia aveva scelto il Regno del Sud, ma non sopportando l’umiliante occupazione “alleata” e si tolse la vita.
    Quanto all’accusa di aver ordito un “golpe”, oltre che infondata, è tutta da ridere. Come ben sappiamo proprio allora la miserabile Prima repubblica era ormai così marcia che si disfece per implosione di lì a poco; e il Principe, morto in esilio, fu scagionato del tutto – come ben pochi sanno – da una tardiva sentenza d’una Cassazione non ancora allineata al Sistema. Assai prima di certagiustizia che marcia a tempi ora immediati ed ora esasperanti, che giudica e manda secondo il colore, il Comandante l’ho assolto io in chiusura d’un breve articolo in sua difesa, affermando che Egli era della stessa nobile razza di Gabriele D’Annunzio del quale seguia il motto “Ardisco, non ordisco”.
    Silvano Valenti


     

     

    3 - UN ARDITO DEL MARE

 

 

Settantadue anni fa il 10 giugno 1940 l'Italia interveniva nel se-condo conflitto mondiale. Nell’anniversario di questo evento de-terminante per le sorti della nostra Patria, il Gruppo di Studio ‘Avser di Torre del Lago presenta la recente edizione d’un volume di ampio consenso (ben tre edizioni e due ristampe) sulle epiche gesta degli operatori dei mezzi d’assalto della Marina:
PAGINE DI DIARIO 1940 -1945
MEMORIE DI GUERRA E DI PRIGIONIA DI UN OPERATORE
DEI MEZZI D'ASSALTO DELLA MARINA MILITARE ITALIANA
Autore: EMILIO BIANCHI. Commento e note di Ferruccio Bravi
L’autore, Medaglia d’Oro al V.M., fu uno dei protagonisti del leggendario attacco alla base di Alessandria che senza spargimento di sangue inflisse alla flotta inglese gravissime perdite. La lezione del passato, si voglia o no, regola il nostro divenire e giova a migliorare la nostra condotta di individui e di cittadini italiani.
Soprattutto nelle avverse vicende giova mantenere vivo e saldo il ricordo di quanti con l'esempio, il valore e il sacrificio hanno tenuto alto l’onore della nazione. Termini come «ideale» ed «eroismo» demagogicamente emarginati recuperano il significato perduto e infondono coraggio in questi tempi così bui per l'Italia.
Sul verso della pagina, per invito alla lettura, è riprodotto il testo in apertura del Diario di Bianchi.
Dati bibliografici: E. Bianchi, Pagine di diario 1940-1945, in 8°, pagine 336, prezzo di copertina euro venti. Un ristretto numero di copie è ceduto, ad esaurimento, al prezzo scontato di euro quindici, inclusa spedizione.

Per informazioni contattare:
Sandro RighiniSegretario del G.d.S.AuserVia Valenzana di Sotto, 89 55050 Bozzano (Lu) – tel, 
3475660359 – p.e. righini.sandro@gmail.com
. .

I primi di giugno del lontano 1940 sono lucidamente impressi nella mia memoria. A Bocca di Serchio, dove mi trovo da circa un anno, il tempo è radioso. La stagione è splendida e mite come di solito nel tratto di litorale fra Pisa e La Spezia quando non piove, perchè se piove vien giù che Iddio la manda e si dimentica di smettere. Qui, dove vivo tuttora con i miei ricordi e ripasso le pagine del mio diario, la primavera non conosce le mezze misure. E anche la gente è fatta così: ti è amica o ti è nemica, è di poche parole o - più spesso - di una loquacità che ti fa pensare a quando diluvia e l'acqua tracima dai fossi.
Qui si respira aria salubre, aria salmastra; e purtroppo anche aria di guerra. Per intanto la guerra è ancora lontana, di là dalle Alpi, oltre il Reno in terra di Francia. La gente ne parla come fosse una cosa normale, senza toni drammatici. Un po' è la primavera che infonde ottimismo, un po' è l'assuefazione. Perchè questo strano conflitto non è “scoppiato”, come si suol dire, ma è cominciato in sordina esattamente otto mesi fa ed è proseguito in modo discontinuo; e la gente, sia che i tedeschi avanzino a valanga con la loro guerra-lampo, sia che temporeggino fra pigre manovre e scaramucce, trova sempre delle buone ragioni per sperare in una imminente conclusione. I più pensano che la guerra ci risparmierà e se al limite ne saremo coinvolti, per via dei patti che ci impegnano con la Germania di Hitler, be', non sarà un'avventura lunga e tragica co-me la '15-'18. Così la pensano da queste parti. Non so se nelle grandi città sono altrettanto ottimisti: le mie sono impressioni raccolte fra gente alla buona in un paese prossimo alla base d’addestramento, a Torre del Lago, dove ho una fidanzata giovane e attraente per i suoi vent'anni e vari progetti in fresco per l'avvenire.
Ma qui a Bocca di Serchio, dove sono mobilitato come sottufficiale operatore nei Mezzi di assalto della Regia Marina, tira una aria un po' diversa. Avvertiamo l'avvicinarsi dell'ora solenne, anzi fatidica, come si legge nei giornali. Sappiamo che la guerra "breve o lunga che sia" non sarà una scampagnata, sarà una cosa seria. Addestrati come siamo al limite della resistenza fisica e setacciati a dovere da una severa selezione, siamo disincantati, alieni da illusioni, sogni, o propositi avventati.
Emilio Bianchi




 


 
4 – GLI UOMINI SILURO



UN PO’ FUORI DEL MONDO E DEL TEMPO… Rievocando la splendida avventura di Emilio Bianchi e di altri arditi del mare.
Autore: Ferruccio Bravi





recensito in:

Per i rapporti tra l’autore e gli operatori di Bocca di Serchio":

http://www.lacittadella-web.com/forum/view...?f=48&t=372


Ci ha piacevolmente stupito questo volume….
di 150 pagine, edito dal gruppo di studio Auser. Si tratta, infatti, di un aggiornamento con l’utilizzo dei commenti di Ferruccio Bravi a corredo, come recita l’introduzione, del volume Pagine di Diario 1940-1945 - memorie di guerra e di prigionia di un operatore dei mezzi d’assalto che fu scritto dalla Medaglia d’Oro al Valor Militare Emilio Bianchi, uno degli eroi dell’assalto con i maiali alla rada di Alessandria d’Egitto nel dicembre 1941. Il Diario, in origine, era un testo di oltre 300 pagine che attraverso la testimonianza di Bianchi, marinaio classe 1912, tracciava un po’ tutta l’epopea della specialità dell’assalto subacqueo e di superficie della nostra marina, regia o repubblicana che fosse.
Ora, questo libro riprende il corso della narrazione, aggiungendo commenti, storie di vita vissuta e una serie di particolari estremamente interessanti; il tutto sulla traccia originale.
Il testo si divide in due parti: la prima di circa 70 pagine, e una seconda in cui sono raccolte le note al testo assai dettagliate, alcuni documenti storici come lettere e il famoso decalogo della Xa MAS, e una serie di utili schede di tutti gli operatori subacquei che, a vario titolo, operarono tra le fila della R. Marina o della Xa MAS nella Seconda Guerra Mondiale.
La lettura è estremamente godibile, la narrazione storica si intreccia alla ridda di dettagli e particolari sulla vita degli operatori d’assalto il cui nome sarà destinato a divenire leggenda come Teseo Tesei, Vittorio Moccagatta, Luigi Durand De La Penne e Salvatore Todaro , ai cui nomi non a caso oggi sono dedicate intere classi di navi militari italiane, subacquee e non.
Abbiamo seguito perciò la narrazione agile e appassionante e che come un’ideale, sottile linea rossa di crimeiana memoria, ci ha condotti attraverso i difficili mesi di guerra, ove, come qualche altro ha ricordato, 100 uomini fuori dal comune si batterono valorosamente, e efficacemente, contro due flotte.
La seconda parte del testo riunisce come già detto una serie di documenti, comprese le agili schede biografiche di coloro che nelle vicende dei nostri operatori dell’assalto navale lasciarono un indelebile marchio, cui si aggiungono inoltre schede di organigrammi, liste di navi affondate, le medaglie al valore concesse, le fonti archivistiche, queste ultime veramente notevoli.
Ciò che preme sottolineare è come questo testo così composto sia divenuto un vero e proprio manuale delle vicende belliche della Xa MAS, riunendo elementi di cui talvolta si sente la mancanza qualora si tenti di ricostruire, magari con gli stessi protagonisti, l’evolversi degli eventi storici; persnalmente abbiamo avuto infatti modo, nel corso degli anni, di intervistare personaggi come Sergio Denti e Pasca Piredda che della Xa MAS e dei suoi uomini, come del loro comandante, ci narrarono episodi ed avventure.
Testimonianze preziose, cui faceva però sempre da contraltare un lungo lavoro di contestualizzazione storica e di esatto riferimento cronologico. Si avverte quindi la necessità di testi come quello pubblicato dal Gruppo “Auser”, che consigliamo caldamente a tutti coloro abbiamo interesse nelle vicende militari dell’ultimo conflitto, o più in generale in quelle della nostra Marina.
Inoltre, il tono generale dello scritto, è bene sottolinearlo, non è mai apologetico del periodo mussoliniano o gravido di inutile odio verso gli avver-sari che le vicende belliche hanno dato in sorte ai nostri operatori; traspare piuttosto una profonda, radicata convinzione del proprio operato, della saldezza dello spirito di corpo che nasce e si consolida tra uomini che condividono pericoli e difficoltà, e l’appassionato ricordo di chi è caduto sul campo dell’onore.
Se, infine, un appunto all’opera va fatto, questo riguarda la mancanza di un riferimento postale o di altro tipo cui rivolgersi per l’acquisto di questo libro, o di altri testi della numerosa collana edita sempre dallo stesso gruppo su argomenti storici, economici e sociali altrettanto interessanti, anche se una piccola ricerca in rete potrà forse ovviare al problema. Libro assolutamente consigliato.

Luigi Carretta



(Recensione pubblicata il 29 gennaio 2011 da: G.M.T. di studio e ricerca storica c/o Fe.C.C.Ri.T. – Via Brennero, 52 - 38100 TRENTO TN).
P.E. info@gmtmodellismo.it




5 – Kshatriya d’Italia


È il titolo di un pregevole studio di Sandro Consolato, accorto studioso messinese che in modo avvincente ha rievocato nella rassegna tradizionalista di Renato Del Ponte (“Ar-thos n.s.iii,1,6, Pontremoli, luglio-dicembre 1999, pgg.220-232) l’eroismo di due Medaglie d’Oro del-la Marina Militare: Teseo Tesei e Salvatore To-daro, i leggendari uomini-siluro della X Mas immolatisi a Malta e a Gibilterra.
Estratto dalla recensione di Renato Del Ponte:
[…] Si è soliti nominare i kamikaze giapponesi, e certo in molti di essi il sacrificio eroico della vita ebbe i tratti della pura ascesi, cui li educava il buddhismo, mentre lo Shinto ne sollecitava l’amore disinteressato per la patria e per l’imperatore. Ma tra gli europei, chi potè andar oltre il pur nobile, ma umano eroismo da sempre conosciuto? Credo di poter rispondere con certezza che questo fu il caso di due militari italiani, entrambi appartenenti ai corpi speciali della R. Marina: Teseo Tesei e Salvatore Todaro. Oggi i loro nomi sono ignoti ai più, ma forse un giorno, quando giungerà al colmo lo schifo per l’ipocrisia delle bombe intelligenti della superpotenza americana come per la barbarie nuda e cruda dei miliziani delle guerre etnico-religiose, ignari di pietà verso donne vecchi e bambini, un bel giorno, dicevo, ci si ricorderà di uomini quali Tesei e Todaro come modello di comportamento civile e militare.
[…] «L’esito della missione – diceva Tesei non ha molta importanza, e neanche l’esito della guerra. Quello che veramente conta è che vi siano uomini disposti a morire nel tentativo e che realmente muoiano: perché è dal sacrificio nostro che le successive generazioni trarranno l’esempio e la forza per vincere». Del resto le sue idee sulla guerra erano quelle di cui dà testi-monianza nel suo Diario […] Bianchi, che ricorda queste altre parole di Tesei: «La guerra non tanto importa vincerla, quanto combatterla bene». E ancora: «Le guerre non si dovrebbero mai fare; ma se si fanno bisogna saperle combattere fino in fondo, anche in caso di sconfitta». […] Chi lo conobbe ne testimonia l’assoluta purezza d’animo, la forza del carattere e la integrità morale. Del Buono rapporta queste qualità all’educazione familiare, severa ma anche non conformista.
Ferruccio Bravi riferisce questo episodio narratogli da Bianchi, che riporto come testimonianza di un costume ben lontano da quello di tanti italiani di ieri e, soprattutto, di oggi: «Nella base segreta di Bocca di Serchio il comandante Tesei disponeva di un’auto di servizio e di un autista personale da potersi scorrazzare a volontà senza dover rendere conto a nessuno; tuttavia usava la bici per raggiungere la sua bella a Migliarino a pochi chilometri dalla base. Una volta usò l’auto di servizio perché pioveva a rovesci. A destinazione domandò all’autista: “Quanto ci vuole di carburante per arrivare fin qui e tornare? “Non so di preciso – rispose l’autista – ma di certo meno di due lire”. Bene soggiunse Tesei porgendo una moneta di cinque lire – va dal tabacchino e portami due lire di marche da bollo”. Tornato l’autista, Tesei fece in minutissimi pezzi le marche da bollo dicendo: Rimborso la benzina allo Stato senza complicazioni burocratiche. Tieni il resto, va al cinema e torna a riprendermi fra due ore».
[…] Tesei seguiva da tempo, insieme con il cugino Ulisse, pratiche yogiche, accompagnate da regime dietetico vegetariano. L’influsso della cultura indù è attestato anche da Ferruccio Bravi, che ha raccolto le confidenze di Emilio Bianchi, attestando che l’eroe italiano «era convinto che le anime dovessero trasmigrare in altri esseri». E sempre Bravi aggiunge: «Tesei aveva i piedi ben piantati a terra, ma viveva nel soprannaturale. Era un novizo de la muerte: il suo olocausto era previsione scontata per i compagni. Un giorno Toschi disse: Teseo non lo rivedremo più. Io so che va a morire».
[…] Il giorno stesso in cui aveva udito a Bocca di Serchio la notizia dell’entrata in guerra dell’Italia, Tesei aveva affermato: “E adesso, costi quel che costi, le nostre forze armate devono togliere subito di mezzo Malta”. Dirà Emilio Bianchi: «parole di una personalità eccezionale che vede lontano, parole che recano un segno del destino». Di contro, dall’amara testimonianza di Borghese risulta che mentre la neutralizzazione di Malta «avrebbe dovuto costituire da anni l’oggetto degli studi e dei piani dei nostri Stati Maggiori», all’atto della dichiarazione di guerra del ’40 non v’era ancora nessun piano del genere. L’insipienza dei nostri alti Comandi rende ancora più nobili le parole scritte da Tesei a persona amica poco prima di av-viarsi alla morte: “Quando riceverai questa lettera avrò avuto il più alto degli onori, quello di dare la mia vita per il Re e per l’onore della Bandiera. Tu sai che questo è il più grande desiderio e la più elevata delle gioie per un uomo...



POSTILLA DI SANDRO CONSOLATO:
Ringrazio Oreste Del Buono per l’estrema gentilezza e generosità con cui ha accolto il mio invito a parlargli dell’indimenticabile zio Teseo Tesei. Un sentito grazie va anche al prof. Ferruccio Bravi, curatore del Diario di guerra e di prigionia di Emilio Bianchi, che mi ha fornito un fondamentale aiuto biblio-grafico, permettendomi inoltre di avvalermi della sua inedita Controstoria 1939-1946».

Contattohttp://www.lacittadella-web.com