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Un compendio che mira a risvegliare nelle coscienze assopite degli italiani il ricordo di più fulgidi esempi e di ben altri uomini. Assuefatti come siamo alla mediocrità dei nostri politici e dei nostri intellettuali che, parafrasando Dante, “si tegnon or là sù gran regi/ che qui staranno come porci in brago/ di sé lasciando orribili dispregi!", leggere di quel grande italiano che fu Cesare Battisti, c’innalza un poco di fronte alla bassezza di questi tempi bui e rei. E ci dona un barlume di speranza che, come una fiamma accesa, alimenta il nostro duro pellegrinaggio in questa patria sempre più dimentica di sé."
Le
ultime ore di Cesare Battisti
di
Pompeo Zumin – Gorizia
(dal settimanale «
L'Unità», di Firenze – 17 luglio 1919)
Al
caffè, a Trento, appresi da ufficiali a me sconosciuti che al
Castello si trovavano due ufficiali irredenti catturati sul Monte
Corno, e che avrebbero dovuto venir impiccati per alto tradimento.
Allora mi trovavo con il mio reparto pistori
1
a Graffiano (Povo) presso Trento, e abitavo in casa del capocomune
Vittorio Merz, con il quale, pur vestendo io l'uniforme d'ufficiale
austriaco, potevo parlare liberamente delle nostre aspirazioni
nazionali, essendo il detto signor Merz di sentimenti italiani.
Appresa la triste notizia suddetta, mi recai a Graffiano, e trovato
il Merz, gliene parlai; il Merz aveva pure inteso qualcosa, e credeva
trattarsi del dottor Cesare Battisti di Trento e del dottor Fabio
Filzi.
« Ritornai a Trento ed
andai al Castello per informazioni: era l'undici luglio 1916.
« All'ispettorato di
polizia, che è vicino al Castello, vidi un gran cartellone con suvvi
la scritta: «Chiuso per festa Nazionale». Ad un muricciolo poco
distante vidi in quella vece il frammento d'un vecchio proclama.
elettorale: «Votate per il dottor Cesare Battisti». Strana ironia
del destino!
« Al Castello mi avvicinai
al sottufficiale addetto alla sorveglianza del Battisti; con me si
trovava l'alfiere Felice Kronebetter (ora dott. Felice Kronebetter),
già addetto alla facoltà giuridica (sezione penale) di Graz. Con
l'aiuto di sigarette e di una mancia, entrammo. Attraversammo un
cortile zeppo di affusti e di arnesi d'artiglieria, ed entrammo in un
andito del piano terra.
« In una cella, a destra,
c'era il Battisti, in un'altra, a sinistra, il Filzi. Il Battisti era
sdraiato su un pagliericcio; aveva i piedi nudi e sul braccio destro
che sporgeva dalla coperta, vidi le due stellette dell'uniforme.
Guardava il soffitto,
non ci
degnò d'uno sguardo,
non si
mosse;
due
sentinelle lo sorvegliavano.
« Al Kronebetter e a me si
unì un capitano a me sconosciuto, che credo avesse le mostrine
d'aviatore; alla vista del Battisti, che giaceva a poco più d'un
passo da noi, il detto capitano parlando al sottufficiale (sergente)
che ci accompagnava, disse in tedesco: «Quando impiccherete quel
porco?» La domanda era fatta in modo, che il Battisti doveva udirla;
anzi perché l'udisse. Il Battisti però seguitò a guardare il
soffitto, non si scompose, e benché una mosca gli girasse sul viso,
non si mosse. Il sottufficiale rispose di non sapere, di credere però
che ciò sarebbe avvenuto il giorno dopo.
« Mi allontanai e mi avviai
verso la cella del Filzi; e con me gli altri. Era egli pure sdraiato
sur un pagliericcio, in terra; guardava verso la finestra, in faccia
all'uscio; quando udì passi, si volse, ci guardò, e rigirò la
testa verso la finestra. Era pallido, non sbarbato. Nessuno disse
parola, tranne il sottufficiale, che pronunziò il nome del Filzi. Ce
ne andammo.
«Chiesi al già detto
sergente quando si sarebbe tenuto il dibattimento, e quando sarebbe
avvenuta l'esecuzione. Mi fece attendere qualche poco, e ritornò per
dirmi che ritornassi nel pomeriggio del giorno seguente. Ritornammo a
Graffiano.
«Il giorno dopo venni solo
a Trento, e tentai di rilevare alcunché
di
positivo:
mi
si
disse
che
tornassi
verso
le
quattro
pomeridiane.
Andai
in
cerca
di
giornali,
ma
non
ne
tro vai.
In piazza Dante, presso il monumento trovai affisso il bollettino di
guerra: parlava della cattura di alcune centinaia
di
alpini
sul Monte Corno.
Un'aggiunta
del Comando di piazza di Trento era del seguente tenore:
«Fra
i
prigionieri
trovasi pure il traditore ex deputato di Trento, dott. Cesare
Battisti».
« Ritornai a Graffiano,
pranzai alla mensa, e verso le tre ci
recammo
a
Trento.
Con
me
erano: il
già
menzionato
alfiere
Kronebetter,
il
tenente
dì
artiglieria
Patermoner
(stiriano)
appartenente alla 6a divisione, un alfiere d'artiglieria, di
Klagenfurt, del quale non ricordo il nome, che però ho notato nel
mio notiziario (lo ho a Trieste).
« Ci portammo al Castello verso le quattro pomeridiane, e rilevammo che alle cinque (ora estiva) sarebbe letta la sentenza, che era di morte per entrambi i martiri.
« Ci portammo al Castello verso le quattro pomeridiane, e rilevammo che alle cinque (ora estiva) sarebbe letta la sentenza, che era di morte per entrambi i martiri.
« Appresi al Castello che
nel fossato si trovava il carnefice Lang,
intento
a preparare le due forche.
Vi
scesi
insieme alla comitiva già detta. Vidi il Lang, e i suoi due
aiutanti. Il Lang si trovava presso la forca destinata per il
Battisti (Si veda qui sotto lo schizzo del fossato).
«
Quando
ci avvicinammo al carnefice, questi si trovava presso il palo del
Battisti (n. 5). Aveva vicino a sé una piccola valigia; vicino a lui
stavano i due aiutanti
Chiedemmo al carnefice di
mostrarci come si faceva una impiccagione; uno si prestò per
l'esperimento. Il carnefice prese una cordicella dalla sua valigia,
la applicò al collo di uno della comitiva e disse ridendo: «Si
figuri di essere al palo; che lo sollevino fino alla sommità, in
modo che io possa infilare il laccio a quel gancio e che lo lasci
andare».
Gli domandarono ancora (io
mi ero deciso ad osservare senza parlare per non tradirmi, dato che
parlo il tedesco con pronunzia italiana come quasi tutti gli
italiani): «Basta una simile cordicella per impiccare un uomo?». Ci
rispose: «No, la buona (der richtige Strick) è nella valigia». Più
tardi dovevo comprendere il significato di queste parole sibilline.
Gli si osservò che la morte
mediante capestro doveva essere orribile. Il carnefice rispose
sorridendo: «Non meritano sorte migliore; del resto sono in buone
mani: mi lascino fare ».
« Temevo che i miei
compagni si accorgessero del mio turbamento, e li invitai perciò ad
uscire dal fossato per assistere alla lettura della sentenza.
Rientrammo nel cortile a colonnato del castello, dove frattanto erano
convenuti moltissimi ufficiali.
« Vennero le 5, e ci
avvertirono che la lettura della sentenza era imminente. Entrammo
nella sala indicataci. La Corte era già presente i mancava però
ancora un tenente, che non so se fosse il procuratore di Stato o il
difensore. Il colonnello presidente guardava impaziente l'orologio, e
chiedeva
ai
membri
della
Corte
spiegazioni
sul ritardo
dell'ufficiale
che mancava.
Gli
risposero non so che, a bassa voce.
E
allora,
chiamato
un sottufficiale,
gli
ordinò
di
non
introdurre gli imputati finché non fosse arrivato l'ufficiale che
mancava; frattanto ne sollecitasse per telefono la venuta.
Quell'ufficiale infine venne, si giustificò, e il presidente ordinò
che gli imputati fossero fatti entrare.
« Venne per primo il
Battisti, calmo, sereno, in uniforme, non legato; guardò in giro il
pubblico, guardò la Corte, il banco degli accusati, e andò a
sedersi al capo destro. Poi fu introdotto il Filzi, e sedette alla
sinistra del Battisti.
« Si lesse la sentenza, che
era di morte mediante capestro per entrambi gli accusati.
« Al passo: «Commise con
ciò azioni tendenti a staccare parti della monarchia», il Battisti
affermò con un cenno della
testa.
La
sentenza
non
mi
sembrava
oggettiva,
in certi
punti era atroce. Condannava piuttosto l'Italia, che i due imputati.
A carico del Battisti rilevava la circostanza che il Battisti era uno
dei più ferventi propugnatori della guerra contro l'Austria, che era
stato già punito in antecedenza; parlava anche delle sue condizioni
finanziarie.
Dalla motivazione della
sentenza rilevai fra l'altro che tanto il Battisti quanto il Filzi
avevano ammesso il fatto loro addebitato e che tale ammissione però
non valeva quale circostanza mitigante, essendo superflua di fronte
alle prove portate da... (seguivano i nomi dei soldati che avevano
catturato i due martiri). Le giustificazioni dei due accusati
relative alla loro sudditanza venivano oppugnate nel senso che la
sudditanza era un rapporto bilaterale, e che non avendo l'Austria
rinunciato ad essa, essi rimanevano sudditi austriaci, benché
avessero prestato servizio in un esercito straniero, e sostenessero
di essere con ciò divenuti cittadini italiani: l'eccezione di non
essere gli imputati passibili dell'alto tradimento era così giusto
il tenore della sentenza scalzata. I due martiri dovevano altresì
aver eccepito la competenza del tribunale militare di Trento, quale
tribunale marziale, e la sentenza sosteneva che il giudizio statario
era stato debitamente reso di pubblica ragione, e che se gli imputati
non ne erano a conoscenza, essendosi loro recati prima in territorio
estero, la colpa era tutta loro, e la eccezione quindi insostenibile.
L'esecuzione doveva avvenire due ore dopo la lettura della sentenza;
il Battisti sarebbe impiccato per primo.
« Uscimmo. Udii un gran
rumore, non vidi nulla perché mi trovavo in mezzo alla folla
d'ufficiali, alcune centinaia. Mi si disse che un soldato avesse
schiaffeggiato il Battisti, mentre lo conducevano alla cella dopo la
lettura della sentenza, e che il Battisti avesse chiesto su di ciò
di parlare al suo difensore. Un tenente colonnello, elegantissimo,
che avevo veduto più volte entrare in una camera, al cui uscio era
applicato un cartellino con la scritta: Bonani (o Bonetto) tenente
colonnello, gridò in tedesco, in modo che Battisti potè udire
benissimo: «Presto alla forca quel porco!».
« Scesi nel fossato in
attesa dell'esecuzione della sentenza. Con me la comitiva già
menzionata, e di più il sottotenente medico dottor Teodoro Weiss di
Vienna (apparteneva al comando del treno del 3° corpo).
Nel fossato vidi due donne
ungheresi, che avevano il bracciale della croce rossa ed erano
profumatissime; vidi anche una signorina giovanissima in costume di
contadinella (Dirndl): blusa e gonna a colori vivaci; gonne corte,
calze colorate, in decolleté, braccia nude dal gomito. Le dette tre
donne furono fatte allontanare. Pure la bassa forza fu allontanata,
non pertanto parecchi soldati (graduati) ritornarono. C'erano molti
preti, e circa 400 ufficiali: fra questi vidi il Dr. Cigoi,
jugoslavo, già giudice a Tolmino ed allora tenente giudice a Trento.
Non vidi altri conoscenti, non udii alcuno parlare italiano. L'attesa
fu terribile. Un ufficiale, che mi stava da presso e parlava tedesco,
disse fra l'altro: «Se il Battisti ha tanto coraggio,perché non
rinuncia alle due ore e non si fa impiccare subito per non farci
attendere troppo?». Un altro ufficiale pure tedesco gli rispondeva:
«Lasciate andare, questa attesa sarà un buon antipasto per la
nostra cena». Piccoli crocchi di ufficiali qua e là ridevano,
facevano scherzi da monelli, scambiandosi il berretto, facendosi il
gambetto, ecc. Era un quadro orribile di bassezza morale.
«Tutto in giro un'infinità
di apparecchi fotografici, fra i quali uno di dimensioni grandissime
e che avrebbe potuto essere un apparecchio cinematografico. Per
fortuna, nel muraglione di cinta c'era un foro, e poco prima delle 7
(orario estivo) il sole, che volgeva al tramonto, splendette per
detto foro, colpendo direttamente gli obiettivi del maggior numero
d'apparecchi, che perciò non poterono agire; fra questi anche
l'accennato apparecchio cinematografico.
« All'esecuzione dovevano
assistere una compagnia di soldati comandata dal maggiore Philippovic
(non so come si scriva questo nome: appresi che detto maggiore si
chiamava così). Quel maggiore aveva del grottesco. Piccolo, nervoso,
faceva marciare i suoi soldati lungo il fossato; e siccome il
pubblico gli era d'inciampo, pregò gli ufficiali di far posto ai
suoi soldati, perché questi erano situati
in
base
al
regolamento
d'esercizio,
ed
essendoci poco spazio a disposizione, potevano far fiasco. Tali
preoccupazioni pochi minuti prima di impiccare due uomini!
« Scoccarono le sette. Uno
squillo di tromba; e dai pressi della scala
(n.
1 dello
schizzo)
vedo
avanzarsi il triste corteo. Precede il carnefice con i due aiutanti;
poi il picchetto con nel mezzo il Battisti, ed il sacerdote. Procede
lentissimo. Il Battisti non indossa più la divisa, ma un vestito
grigio scuro a quadrelli; ha in testa un berrettone scuro, stivali
grandissimi allacciati con spago; ha le mani legate, incrociate; i
gomiti pure legati. Guarda in giro, quasi cercasse fra il pubblico un
conoscente; guarda alla sommità del muraglione, che fiancheggia la
via, e cerca invano conoscenze.
Arrivato all'attrezzo (n. 2
dello schizzo) guarda, si ferma un istante, e poi procede, dato che
il picchetto procede; lo stesso avviene al palo del Filzi
(n.3) ed
alla sbarra (n.
4 dello
schizzo).
«Il picchetto si avvicina
al patibolo.
Entra il
tenente giudice e
legge
la
sentenza,
però
senza
motivazione.
Poi le
terribili
parole: «Carnefice, le consegno il condannato, faccia il suo
dovere». Il carnefice leva il berretto al Battisti.
« Questi
grida
con voce sicura, addossato al patibolo: «Viva l'Italia, viva Trento
italiana!». Un silenzio. Poi il pubblico urla in tedesco: «Pfui,
viva l'Austria!». – Il Battisti di rimando: «Viva l'Italia!». –
Il pubblico: «Pfui». – Il Battisti: «Viva l'Italia, viva
l'Italia!». Gli aiutanti del carnefice già sollevano il Battisti,
quando questi gridava i due ultimi: «Viva l'Italia!».
« Il carnefice gli applica
il laccio al collo; gli aiutanti tirano in giù il martire; la corda
si spezza. Il povero martire cade, restando addossato al palo e
scuotendo la bella testa. Un senso di orrore nel pubblico.
Il Dr. Teodoro Weiss, che mi
è vicino, mi ripete continuamente: «Andiamo, andiamo, è troppo».
Parecchi ufficiali
fumano
sempre
la
sigaretta.
Il
carnefice leva dalla valigia una seconda fune – era la buona! –
così si spiegavano le parole sibilline che aveva dette alcune ore
prima dell'esecuzione: voleva ed ha fatto della teatralità, prima di
far morire un uomo; sapeva che il primo laccio si sarebbe spezzato; e
le autorità non se ne accorsero?
« Gli aiutanti del
carnefice rialzano il martire, gli si applica un nuovo laccio, e di
nuovo un forte strappo. Il Battisti si fa rosso, bluastro alle mani
ed al viso; ma non muore. Il carnefice gli passa una mano sotto il
mento; gli preme sulla bocca, sulle narici e sugli occhi. Ma il
martire non muore.
Assistono
due
medici,
un
tenente ed un maggiore. Sono preoccupati, ascoltano il Battisti. Vive
ancora! E parecchi ufficiali fumano ancora maledetti! Infine si
accerta la morte. Si dà il segnale di preghiera. I soldati
eseguiscono. Gli ufficiali si guardano incerti sul da farsi: chi fa
il saluto militare, chi leva il berretto, taluni ignorano
la
santità
del momento, infine tutti levano il berretto. Si copre poi il martire
con un lenzuolo; gli si mette davanti una staccionata (steccato
mobile); ed il picchetto va a prendere il secondo martire.
Si ripete la tristissima
procedura con il Filzi. Il carnefice gli applica il laccio. Filzi
muore subito.
«
Mi
separai dalla comitiva e ritornai a Graffiano.
Raccontai
lo strazio alla famiglia Merz: povera gente: era avversaria politica
del Battisti perché questi era socialista; ma pianse al racconto. Al
supplizio assistette pure il tenente di sussistenza Antonio Vaigner,
czecoslovacco; da Trebic (Moravia), il quale fece alcune fotografie.
Dal Vaigner rilevai che egli fu presente quando si diede sepoltura ai
due martiri, verso la mezzanotte del 12 luglio».
Dr. POMPEO
ZUMIN,
Impiegato
dell'Istituto
Ipotecario di Gorizia.
* * *
I due cadaveri penzolarono
dalle due forche, secondo talune testimonianze, fin verso le 23; a
quest'ora una fossa, scavata
in
un
angolo
del
cortile,
accolse
insieme
le
due
salme.
Secondo altri, invece, il seppellimento avvenne subito dopo
l'impiccagione.
La
mattina
del 4
novembre 1918,
il
capitano Ugo Mazzo ni, di Firenze, che aveva assunto il comando
militare nella città di Trento,
salito
al Castello
e
fattosi indicare il luogo dov'erano sepolti i due martiri, vide che
la terra era di recente smossa.
Dopo precise indagini,
potè
stabilire che nella notte dall'1 al 2 novembre le due salme erano
state frettolosamente dissepolte, e portate al cimitero militare.
Precisato il luogo, le salme furono riesumate e riconosciute
2; e
fu riesumato pure, dalla fossa del castello, Damiano Chiesa che vi
era stato sepolto dopo la fucilazione.
La salma di Battisti riposa,
ora, a Trento, nella tomba di famiglia
3;
quelle di Chiesa e di Filzi, trasportate al camposanto di Rovereto,
dormono il sonno eterno nella terra nativa.
Note:
1
Panettieri (N.d.c.)
2
Il riconoscimento venne fatto da Luigi “Gigino” Battisti, figlio
del Martire e arruolatosi giovanissimo (era nato nel 1901).
3
Nel 1929 non era stato ancora costruito il Mausoleo sul Doss Trento,
dove le spoglie di Cesare Battisti furono traslate nel 1935.
Continua...