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lunedì 30 luglio 2012

Dante uomo di scienza - Rinaldo Orengo


 Un altro sostanzioso ed erudito volume di Rinaldo Orengo..

 "Non sempre i Concorsi ed i Premi Letterari - sovente incolpati d'inconsistenza, di sfacciata parzialità, o peggio - sono inutili: talvolta servono di sprone ad approfondire un tema appassionante, o a convertire in esposizione organica un insieme d'appunti e d'idee slegate vertenti su taluni argomenti cari ai dilettanti. I quali, a imitazione della dantesca Matelda e rimembrando il titolo gentile dato da Giovanni Pascoli alla sua squisita e splendida antologia, amano andar scegliendo <<fior da fiore>>: per dilettanza, e non per amor di vana fatica a cui sobbarcarsi a titolo di penitenza.
Così avvenne a quel dilettante di tante cose che si firma R.O.: egli presentò a un Concorso dantesco nazionale indetto a Varese dall'Ateneo Prealpino un suo saggio su Dante <<marinajo>>: gli piovve addosso, inatteso davvero, il primo premio, milioni uno (del 1965). Ne scaturì un rifacimento del saggio in veste più aulica: ampliato, affinato, adorno di tante belle preziosità, <<legato con amore in un volume>>. E la solennità dell'endecasillabo discese di Paradiso per conferir vigore e prestigio a tal parva favilla: che piacque ad Ettore Cozzani, piacque a Piero Operti.
Quel libro (Le Arti del mare in Dante, Volpe Editore, 1969) non estinse la fantasia e non fermò la penna irrequieta. Che cosa diceva di sé Giosuè Carducci' che chi ha bevuto una volta a certe fiasche bisogna che vi ritorni ancora. E cosaì accadde a quel tale R.O.: non si discorreva di premi, questa volta: ma Dante affascina. Anche qui, una prima edizione dattiloscritta , eliograficamente riprodotta, circolò per qualche tempo fra amici: segue ora questa che ha l'onore di far parte della Collana Storica <<ITALIA SCOMPARSA>>: una seconda edizione ovviamente ampliata e riveduta a dovere, sempre per dilettanza.
Vanità di scrittorello? Non si direbbe. Forse, il tenace ricordo d'una persona ch'egli ebbe assai cara, da lungo tempo scomparsa, che vorrebbe onorare offrendo qualche cosa di suo non del tutto insignificante. Forse, il desiderio di mostrare che la Patria italiana non è fertile soltanto di strepitosa e presuntuosa volgarità, e conserva qua e là qualche scintilla di passione per gli studi insieme alla venerazione per i grandi del passato: anche ora, vicina com'è all'ultimo disfacimento.
L'altra sua opera dantesca non ebbe un deciso successo editoriale, ma fu apprezzata per davvero da alcuni eminenti dantisti: ed egli R.O. si richiama alla trita e pur veritiera sentenza, che si deve piacere a tutti, o a pochi: piacere ai molti è brutto segno, sempre."

Chi scrisse il testo del presente tomo, quegli che ideò, preparò e dirige questa collana storica, nacqua a La Spezia il 13 novembre 1895. Fu combattente della '15-'18 e a Gorizia  nel '16. Dopo la guerra, prestò servizio tecnico nella fu Regia fu Marina fu Italiana. Per acluni anni lavorò nell'Africa Inglese e Italiana; dopo l'ultima guerra diresse lavori d'elettrotecnica industriale e di costruzioni. E' ingengere laureato a Torino nel 1921; scrittore e dantista.
 

Con Dante e con Gabriele D'Annunzio il <<cuore>> dell'avventurata e sventurata Penisola centro-mediterranea diede al mondo e all'intera storia dell'umanità le due menti più eccelse, i due caratteri più sovrumani ed eroici che a noi fosse dato conoscere. E il solo fatto che quest'odierna vociante e strepitosa folla di pigmei li disconosca costituisce una prova di più della loro grandezza: ai copròfagi non s'addice l'ambrosia, non il nèttare ai drogati. A noi, tal diligente razzamaglia vituperosa rende cara un'altra droga, nobilitata per noi dall'alta poesia: quel nepente d'omerica memoria <<... ond'Elena infondea le tazze a i re>>.
E come mai Dante, che nella miglior età de' nostri nonni fu venerato e studiato con mille esposizioni e commenti da parte dei massimi letterati e storicisti, come mai fu lasciato quasi in ombra dai cultori delle scienze esatte? Eppure, egli fu anche scienziato d'alta dottrina.
Questo piccolo studio, composto alla spezzata (del quale qualche spunto si trova già nella mia maggir opera di tema dantesco e navale), trasse origine da appunti che mi venne fatto d'annotare a margine quando m'imbattei in palesi e talvolta grossolani errori in materia fisico-matematica, accolti in taluni assai rispettabili e venerandi commenti alla Commedia. Talora si tratta di semplici sviste: talaltra, v'è chi insiste nell'errore. Ed io volli dar materia di riflessione - fors'anche errando a mia volta - ai rari studiosi che voglian vedere in Dante non soltanto il poeta sovrano, ma anche la mente universale; e comprender la febbre dell'ambizione che lo divorava, d'esser più in alto de' suoi tempi, e di tutti i tempi.
Voglia la mia buona sorte che riesca utile qualcuna delle mie correzioni volte a rettificare gli errori altrui; e che io m'imbatta in qualche dantista per dilettanza, serio e riflessivo, che voglia correggere e spiegarmi gli errori miei. Del che gli sarò grato.

Costa Azzurra, 1974

RINALDO ORENGO

 

Presso il Gruppo di Studio AVSER sono ancora disponibili 

alcune copie del libro 

mercoledì 18 luglio 2012

L'AEDO di Rinaldo Orengo

Il fu Centro di Studi Atesini, ebbe l'onore di ospitare tra le sue pubblicazioni alcune opere dell'ingegnere Rinaldo Orengo. A molti probabilmente, questo nome non dice nulla. Classe 1895, nato a La Spezia da una famiglia di origine nizzarda, partecipò come volontario alla prima guerra mondiale insieme al fratello Achille, che cadde sul Carso. Laureatosi in ingengneria, durante il ventennio diresse alcune imprese britanniche ed italiane in Africa. Appassionato di letteratura, dopo la guerra dedicò i suoi studi all'opera Dantesca e Dannunziana. Si spense a Riva Ligure il primo marzo del 1991. Coloro che l'hanno conosciuto in vita o attraverso i suoi testi, non possono dimenticarlo.
Il Gruppo di Studio Avser, in quanto erede dell'opera del CSA, possiede ancora materiale dell'illustre studioso ligure ed è lieto di riproporlo ai suoi fedeli ed appassionati lettori. Ma prima è necessaria una più ricca e doverosa presentazione dell'autore, redatta dal buon Ferruccio Bravi, che non solo pubblicò e promosse i lavori di Orengo, ma ne fu anche intimo conoscente.

RICORDO DI ORENGO

"ARISTOCRATICO nella concezione di Oriani, credeva nella missione della Monarchia secondo una visione dantesca. Autentico uomo di cultura, rifuggiva la babilonia dei partiti e faceva parte per sé stesso. Decisamente, non era un <<animale politico>> in senso aristotelico. Nel ventennio, volendo servire l'Italia ma non il regime, si stabilì in Africa dove lavorò parecchi anni, fra Chartum e l'Asmara. Ma onestamente non negava qualche merito del Dittatore del quale soleva dire: <<Posto che fosse il diavolo che si dice, era almeno un diavolo italiano, vivaddio! Ma questi ometti lesti di mano ridotti al piede di casa che ci stanno sul collo... >>. Forse l'uomo che qualcuno, poi pentito, definì <<il Motore del secolo>> non tirava abbastanza per Lui, volto all'Alighieri e al D'Annunzio, i massimi estremisti nati al sole d'Italia.
Dai due sommi aveva tratto lo stile e la maturità letteraria che egli sapeva unire al rigore della scienza. Nell'ultimo decennio dedicò loro due massicci volumi nei quali fra l'altro, corresse non lievi errori fisico-matematici in cui erano incorsi dantisti pur preparati: e con ferrea acribia computò versi pagine e battute dannunziane. Grazie a questo conteggio - materialmente effettuato dalla paziente consorte e silenziosa collaboratrice, la Signora Ginetta - ora sappiamo che l'<<inesausto fonte>> ha lasciato alla gioia di noi lettori ben 63.515 versi e 6.100 pagine di prosa, pari a più di tredici milioni di battute: una produzione quasi decupla di quella dantesca, pur ragguardevole. 
Una fiera passione per l'<<idioma gentile>> Lo assoggettava alla tirannia del setaccio. Mai, ch'io sappia, disse o scrisse parola che non fosse scelta e tirata a lucido. Mai un'espressione dialettale. Per i dialetti nutriva un sovrano disprezzo: si vantava di parlare solo in lingua e giudicava men che oziosi certi miei studi di dialettologia. Inutile dirgLi che mi occupavo di dialetti con l'interesse scientifico di chi studia le malattie o gli scherzi di madre natura: <<Un letterato, uno studioso serio - diceva - non si perde dietro certe baggianate>>. <<Ma è materia da fior di professori...>> tentavo di ribattere e Lui mi tramortiva con una delle Sue battute che lasciavano il segno: <<Oh, i professori: i professoroni sanno tutto e se non sanno inventano>>. Era fatto così, facile all'impuntatura e al sarcasmo, ma Uomo grande di cuore come d'intelletto..."

F.B.

 

 

L'AEDO

Gabriele D'Annunzio

visto da

Gabriele D'annunzio


 

di RINALDO ORENGO

Per quel che ne sa un italiano non particolarmente addottorato nelle materie letterarie e assorbito da attività intellettuali di altra natura, Gabriele D'Annunzio - uomo di lettere e uomo d'azione - fu studiato, analizzato, criticato, esaltato, denigrato da molti scrittori e in numerosi articoli di giornalisti, sotto i più diversi aspetti: ed egli se lo raffigura a seconda delle opinioni o delle passioni o dei pregiudizi di qualcuno fra questi interpreti più o meno avveduti e sagaci, accettandone le sentenze e passando ad altre cose. Ma la presenza di Gabriele D'Annunzio, morto meno di cinquant'anni or sono, è ancora troppo vicina a noi per consentirci la serenità dei giudizi: per taluni superstiti vissuti ai tempi suoi ed entusiasti di lui egli appare ancora come il grande e dottissimo artista de omni re scibili er quibusdam aliis, o come l'eroe e il conquistatore, il servitore dei servitori della Patria; per altri, egli è soltanto un seduttore, un corruttore, un avventuriero; per i più, egli è qualche cosa di mezzo fra questi due estremi. E se quell'italiano di cui dicevamo sopra desidera precisare o correggere la sua opinione sul D'Annunzio e conoscerlo meglio, gli conviene avvicinarlo direttamente: gli conviene soffermarsi su ciò che egli stesso, Gabriele D'Annunzio, o in prima persona o per mezzo dei suoi personaggi, disse di sé.
Due sono gli ostacoli che si frappongono tra il curiso ignaro o quasi ignaro di lui e la conoscenza vera dell'artista e dell'uomo: la mole sterminata unita alla non sempre facile accessibilità dei suoi scritti, e il livello elevato delle opere critiche serie a lui dedicate dai critici maggiori. Ne risulta per molti una <<lontananza>> difficilmente superabile senza noia e senza fatica.
Il volume che qui si presenta è un tentativo di colmare in parte questo vuoto. Non è per certo destinato agli <<addetti ai lavori>> dannunziani, ai dotti, ai critici, agli studiosi della materia trattata. è dedicato a chi del D'Abbunzio poco sa e di più vorrebbe sapere. I numerosissimi brani ripresi lo sono a titolo di documentazione originale, diretta, d'un pensiero dannunziano: e classificati (per così dire) secondo i principali aspetti del multiforme, inesauribile, fecondissimo, affascinante scrittore. Tali aspetti appaiono chiaramente in una Sinossi posta a principio dell'opera. 
Questa documentazione è largamente commentata nel testo e nelle Note abbondevoli. E qui conviene spiegare.
Gabriele D'Annunzio fu l'ultima e la più grande delle <<Tre Corone>> moderne: Carducci, Pascoli, ed egli: quelle che forse chiudono la grande storia d'Italia, come le <<Tre Corone>> antiche, Dante, Petrarca, Boccaccio, l'apersero. Gabriele D'Annunzio rappresentò un'epoca fra le più importanti nella storia d'Italia: un'epoca che reca in profondità l'impronta della sua eccezionale figura. Chi scrisse questo libro visse la sua lunga vita in quell'epoca: non può e non vuole ignorarla subendo la tirannia della moda. Anche se essa epoca è ormai quasi da tutti dimenticata o vituperata o derisa, anche se l'irriconoscibile Italia è oggi divenuta geenna, egli ricorda ed ama ancora l?italaia risorgimentale e dannunziana: vide le creature a lui più care morire per lei, e riterrebbe suprema viltà rinnegarla. Dovesse rimanere anche solo, non la rinnegherà mai.

R.O.

La Turbia di Provenza, autunno 1983.



Presso il Gruppo di Studio AVSER sono 
ancora disponibili diverse copie del volume