IL
NOME E IL LOGO
Avser
è il nome latino del Serchio che scorre nella Lucchesia (dal
mediterraneo *avi-sar come Avisio, Isarco, Isere e simili).
Lo
scudo rosso alla croce a tau d’oro (colori di Roma) è ripreso
dallo stemma dell’Ordine ospitaliero di ‘Teutpasso’ –
Altopascio nella Lucchesia – che nel medioevo si espanse in tutta
Italia e oltralpe. Nel Tirolo cisalpino era stato già adottato dai
Conventuali di Novacella all’età di Dante.
C’è
chi ravvisa nella croce la gruccia dello sciancato, la bipenne
minoica, il fascio littorio di Vetulonia. Tranquilli: il simbolo è
solo una mistica lettera T che segna i giusti destinati a
sopravvivere per volontà divina (cfr. Ezechiele, 9).
La
leggenda «LIBERE VERITATI SERVIMVS» impegna a servire la Verità da
uomini liberi senza presunzione e senza vanità.
DECALOGVS
VERI PROBIQUE VIRI
1.
Libere veritati servito:omne concedito veris, nihil falsis.
Servi
il Vero da uomo libero,nulla concedendo alla menzogna.
2.
Conscientia tibi svfficit; qvid loqvantvr noli cvrare.
Lascia
che gli altri dicano;a te basta la coscienza tranquilla.
3.
Certa viriliter, svstine patienter.
Lotta
da uomo, sopporta da santo.
4.
Forti animo agito, non desperationis affectv.
Compi
il tuo dovere col coraggio dei forti,non dei disperati.
5.
Vi opprimi in bona cavsa, melivs qvam malae cedere.
Meglio
soffrire per la giusta causa che trarre vantaggio dalla causa
ingiusta.
6.
Noli scribere merita in calendario.
Non
aspettarti ricompense. La ricompensa migliore è l'aver portato a
buon fine l'opera tua.
7.
Gloria fvgientem magis seqvitvr.
La
gloria è come l'ombra: se la segui ti sfugge, se la sfuggi ti segue.
8.
Modicvs sibi medicvs: satis pavlo, tantvm pavca
Mòderati
in tutto e avrai pensiero limpido in corpo sano.
9.
In silentio et spe fortitvdo.
Tacere
e sperare: in questo è la tua forza, avendo fede.
10.
Patriam habes, esto felix.
Sii
felice di avere una Patria. Pensa alla tristezza di chi è senza
Patria o non sa di averla.
Questo
Decalogo non fu dettato sul monte dal Signore dell'Ultimo Piano. Mi
frullava in capo già fin da quando, con gli amici Manfrini e Pezzi,
mi saltò in mente l'idea balzana di fondare a Bolzano un Centro di
documen tazione storica ampliato poi in Centro Studi Atesini,
istituto culturale che fra sacrifici ed emarginazione raggiunse
l’autosufficienza. Era il lontano 12 ottobre 1967: ancor giovani
salimmo, non sul Sinai, ma appena al mezzanino dove rogava il notaio
Isotti che stese l’atto costitutivo.
I
dieci comandamenti, allora in embrione, son diventati come li
leggete, poco alla volta nel corso degli anni, fra esperienze ora
liete ora amare. L’ultima frustata al cavallo magro risale al tempo
del primo governo Prodi, quando il compagno Veltroni, ministro dei
beni culturali, ci revocò il sussidio. Per sopravvivere il Centro
tese la berretta ai Soci, si attrezzò informaticamente e come a Dio
piacque la sua voce tornò a farsi sentire non solo nelle pubbliche
chiacchierate, ma in studi editi da nostra composizione grafica e su
CD-R.
Alla
soglia degli ottant’anni, nel consegnare l’istituto ai giovani
successori Urzì e Pojaghi, inviai il Decalogo nella stesura
definitiva – in testo latino e commento in volgare – ai Soci
incaricati di preparare l'elezione del nuovo Direttivo e agli amici
dell’Avser, il Gruppo di Studio che continuo a dirigere.
Da
questi comandamenti che mi hanno infuso coraggio e determinazione in
circostanze tristi e difficili, trarranno maggior giovamento i
successori che con molta fede e un pizzico di buona volontà potranno
fare più e meglio di me, sia pure mutando radicalmente indirizzo e
metodi: ma sì, ben venga il diverso, ben venga il nuovo, ma sempre
nel rigoroso rispetto delle norme statutarie e dei valori che hanno
nobilitato il Centro, innanzitutto la difesa intransigente della
lingua e della cultura italiana.
F.B.
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