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sabato 8 aprile 2017

Intervista a Ferruccio Bravi sulla Toponomastica alto atesina



1) I recenti attacchi alla toponomastica italiana in Alto Adige – passati quasi sotto silenzio nell'opinione pubblica, salvo rare e circoscritte eccezioni – hanno risollevato la spinosa questione linguistica della regione. Dal punto di vista glottologico, le pretese e le rivendicazioni degli autonomisti hanno qualche fondamento scientifico?

Premetto che la verità assoluta non appartiene all'uomo: la verità umana è figlia del suo tempo, è confezionata spesso ad uso e consumo della ragion di Stato e della demagogia delle fazioni. La gente crede ai surrogati di verità, o al limite finge di crederci. La paura di restare isolati rende docili come le pecore dietro il campano, fa accettare tutto: guai all'incauto portatore d'una verità diversa da quella proclamata dal partito, dalle consorterie politiche, dai banditori al loro servizio.
Ho i miei limiti, riconosco, malgrado una certa esperienza maturata in indagini toponomastiche apprezzate dal prof. Carlo Battisti, glottologo principe, luminare assai noto per la sua profonda umanità anche al ceto comune del secolo scorso come interprete del capolavoro cinematografico “Umberto D” (regia di De Sica).
Innanzitutto preciso che parecchi toponimi di formazione latina furono germanizzati e imposti di recente. Ne tratto in studi pubblicati nel secolo scorso qui sotto citati:

- "Inchiesta" sui nomi di luogo atesini, I: Sintesi introduttiva, "Clessidra" 18, Bolzano (Centro Studi Atesini) 1982.
- 50 nomi in libera uscita, "Spunti e note" 3, Bolzano (CSA) 1986.
- L'evolversi dei toponimi atesini di origine preromana: latinizzazione, germanizzazione, italianizzazione, Società Geografica Italiana, 39-55 (testo della relaz. 25 X 1983 alla Tavola Rotonda).
- Toponomastica italiana nella provincia di Bolzano, Bolzano (CSA) 1990,
- Forse che sì, forse che no (anzi, per niente)
- Mito e realtà nei nomi di luogo atesini, Bolzano (CSA) 1986 (sotto eteronimo Silvano Valenti, in polemica con Kühebacher 1986, Deutsch im Spiegel der Namen, in specie sugli pseudo-prediali).

2) Ogni qual volta si affrontano certe tematiche salta fuori il nome di Ettore Tolomei, accusato di aver italianizzato i nomi di luogo dell'attuale provincia autonoma. E il suo nome viene accostato al Fascismo. Evidentemente si fa un po' di confusione in merito. Puoi chiarirci meglio le idee sul suo operato?

I denigratori del Tolomeitrentino italianissimo, ma in verità fascista assai tiepido – rifiutano di accettare a scatola chiusa la «verità convenuta» circa i nomi di luogo atesini di forma italiana che, sostengono, erano sì e no una trentina prima che il Tolomei li moltiplicasse per mille inventando a tavolino una toponomastica su misura per i fascisti che la imposero. Molti trovano questa «verità» prête à porter, assai più comoda e sbrigativa delle complicate verità contenute nelle pergamene tarlate e negli indigesti volumi dei professoroni.

3) Riguardo al periodo fascista invece, cosa si può dire sulla convivenza tra i vari gruppi linguistici? Ci fu realmente, come sostengono in molti, un esacerbarsi degli atteggiamenti anti-tedeschi da parte italiana, con conseguente forzata italianizzazione?

Per la verità, la convivenza fra i due gruppi linguistici dopo l’annessione fu relativa al tempo del fascismo in cui non vi fu alcuna discriminazione etnica: l’uno e l’altro gruppo avevano gli stessi diritti e doveri ma nessun privilegio. Questa situazione fu netta e norale prima dell’Anschluß, allorché l’Austria ottenne con voto plebiscitario l’annessione al Reich hitleriano: furono i nazisti austriaci (più fanatici e compatti di quelli germanici) a fomentare la discordia etnica che a sua volta sfociò nelle opzioni naziste da parte di alto-atesini di lingua tedesca non pochi dei quali avevano il cognome italiano essendo trentini intedescati di recente. A questo si opporrà la diceria della forzata italianizzazione dei cognomi di forma tedesca.
La discordia fra i due gruppi era comunque insignificante rispetto a quella attuale impregnata di livore razzista e fomentata anche da politicanti italioti e da trentini degeneri. Comunque non ci fu allora un reale esacerbarsi degli atteggiamenti anti-tedeschi da parte italiana. Tirate le somme, la forzata italianizzazione dei tedescofoni fu solo occasionale e trascurabile rispetto all’attuale intedescamento degli italofoni.



4) Qual era al tempo dell’Asse lo stato della toponomastica atesina?

Giova precisare che essa fu croce e delizia: croce, per il regime che, con grinta, difese dal tedesco zuccoduro il nostro diritto di chiamare nella nostra lingua e come ci pare i luoghi dove siamo nati o viviamo per lavorare e produrre; delizia, perché il Tolomei, sia pure in modo incauto e stiracchiato ha resti-tuito ai toponimi una forma italiana. A dirla tutta in qualche caso il patriota di Gleno ha fatto autogol ravvisando matrici tedesche in toponimi di radice inequivocabilmente nostrana attestata nei documenti più antichi. Per altra via si dà la stura alla fantasia e si fanno figuracce come appunto nel caso del Tolomei che spropositò nell’attribuire matrice tedesca a certi toponimi ladini e pusteresi.
Valga un solo esempio di manifesta evidenza: documenti atesini di antica data attestano che gli attuali villaggi di Elle e di Rina si chiamavano Elina, forma riconducibile a *helina ‘centro sinecistico’ da prelatino *eli + suffisso aggettivale –ina. *Heli ha riscontro nel lat. Villa e ad esso sono riconducibili Velia (Eléa in greco) nel Cilento, alquanto a sud di Paestum. Velia si chiamava anche uno dei tre villaggi sopra il colle Palatino prima della nascita di Roma sul colle stesso. Velletri si chiamava Velitrae, Volterra Velathri, la prima in forma latina, la seconda è prelatina in forma etrusca.
A questo punto mi concedo una digressione sul termine prelatino che non è in relazione con il prete modernista azzimato che si scalda al calore di una società deviata e in peccato mortale.
Prelatino significa vagamente ‘anteriore al latino’. Nel caso specifico dei Reti prelatini ho coniato il termine ‘velianico’, con esplicito riferimento ad *heli-/*veli.
I miei Veliani, per quanto di intuisce, erano un popolo errante vissuto per secoli nello stato primitivo. Vien fatto di pensare che essi parlassero un linguaggio più urlato che articolato.
E invece, no. Il loro idioma era compiuto e armonioso: era una lingua singolare, basata su combinazioni sillabiche disciplinate e costanti che si direbbero uscite da un elaboratore elettronico anziché dalla mente umana.
Una sola parola velianica può esprimere un intero concetto: ad es. calma, che significa 'culmine pianeggiante, arido e calvo', rende in due sillabe quanto una istantanea a colori.
Le voci velianiche richiamano, per struttura, il rigore della lingua arabica classica che – a differenza delle derivate varietà volgari, urlate dai beneficiari dell’accoglienza – compete per armonia fonetica aggraziata ed impeccabile con la buona lingua italiana. La ricchezza lessicale del velianico, specie nella nomenclatura alpestre, denota una fine sensibilità e una assidua esperienza di frequentazione montana.
Tornando alla toponimia atesina, da Velathri a Velturno alto-atesino il passo è breve. Su Velturno bisognerà intenderci. La forma tedesca Feldthurns è una manipolazione. Nei documenti si legge: Velturnes. Anzi in un manoscritto di Bressanone, datato 1666, si legge "Velturno", che è la forma storica italiana. Sempre da documenti sappiamo che otto secoli fa il villaggio di Fiè si chiamava Vels (da *feles) e l'altura di Fia a Tesero –paese natìo di mia Madre – Fella.
Le rivendicazioni tedesche partono da lontano, ma credo di non sbagliare se affermo che si fecero sempre più pressanti in loco a partire dal XIX secolo in opposizione ai moti d'indipendenza nazionale nella nostra penisola.

5) Il vento risorgimentale spirò anche nelle città e nelle valli atesine?

L’adesione alla riscossa risorgimentale non lasciò indifferenti i sudditi di lingua italiana, soprattutto nella Bassa atesina popolata da trentini. Cito per tutti il garibaldino Camillo Zancani da Egna (1820-1888) di cui Achille Ragazzoni, ‘penna d’oro’ del nostro Centro di Studi di Bolzano, ha tracciato una encomiabile biografia.


Il garibaldino Camillo Zancani


6) Che ruolo svolsero le associazione patriottiche in quelle che all'epoca erano le province meridionali dell'Impero asburgico?

La loro attività era quasi esclusivamente culturale, ai fini di tener viva la coscienza nazionale in una marca di confine italiana brutalmente intedescata dagli Asburgo con la benedizione dei principi-vescovi di Trento e Bressanone. Doveroso precisare che nell’età della controriforma tali principi vescovi furono prevalentemente italiani di lingua e anche di sentimenti. Non certo il pentimento per la brutale germanizzazione linguistica, bensì il timore d’una adesione dei sudditi al luteranesimo indusse gli Asburgo a non contrastare la residua presenza italiana nella Contea tirolese dove, cessato l’intedescamento, l’italianità ebbe una sorprendente seppure effimera rinascita.

7) Facciamo un passo indietro. Nel tuo libro Le Fiere di Bolzano – che abbiamo da poco riprodotto parzialmente, sul nostro sito – tratteggi un quadro del capoluogo atesino, dal medioevo all'età dei lumi, in cui italiani e tedeschi hanno una consistenza quasi pari sul territorio. A quando possiamo datare le più massicce migrazioni da nord nella regione? E come si distribuiscono tra città e campagna?

La migrazione allogena più massiccia risale all’alto medioevo: in massima parte il “tedesco invasore” apparteneva al ceto rurale e gli italiani erano immigrati dal Trentino, dal Veneto e poi dalla Toscana dilaniata dalle fazioni nell’età di Dante.

8) Sbaglio nel dire che la componente latina, impronta lasciata da Roma antica, sia comunque forte e radicata in Alto Adige più di quanto possa oggi apparire?

Dell’originaria componente latina sopravvissero, compatti e tuttavia molto differenziati linguisticamente gli alto-atesini delle valli ‘ladine’ che oggi si atteggiano a razza speciale a sé. Nondimeno, tedescheggiano per redditizio opportunismo. Molti di loro sono ‘trilingui’ e non pochi si intedescano per godere i privilegi della razza eletta ‘sud-tirolese’ privilegiata dalla discriminazione razziale imposta dal trattato Gruber-De Gasperi. Ma se qualcuno di loro emigra a sud di Salorno diventa linguisticamente italiano come noi.


Statua loricata attribuita a Druso, condottiero romano
conquistatore della Rezia


9) A proposito dell'accordo Degasperi - Gruber, in molti oggi si richiamano esplicitamente ad esso per dirimere l'attuale questione linguistica e toponomastica della provincia atesina. Mi pare invece che tu esprima un giudizio negativo su di esso. Puoi spiegarci meglio il tuo punto di vista in merito?

A qualificare la scelleratezza dell’accordo è proprio il De Gasperi ex parlamentare austriaco servo soave dell’impiccatore Francesco Giuseppe. Egli stesso si qualificò ‘trentino prestato all’Italia per me, apprezzarlo sarebbe un’ingiuria al martire Cesare Battisti che per l’Italia ha affrontato il patibolo; e anche una offesa alla memoria di mia Madre, irredentista della Lega Nazionale trentina profuga a Roma dove morì prematuramente, minata nella salute dalle sue traversie affrontare per amore della Nazione nostra.
A qualificarlo sono comunque le condizioni dei miei connazionali di lingua italiana che, di conseguenza, sono diventati stranieri in Patria, peggio che metechi. Basti pensare alla scellerata ‘proporzionale etnica’ che riduce al minimo la presenza del cittadino di lingua italiana nel pubblico impiego a favore di quello di lingua tedesca che può farne a meno essendo ricco di suo come facoltoso proprietario terriero.

10) Mi piacerebbe capire meglio l'origine dei Ladini. Puoi dirci qualcosa in più su di loro e sulla loro parlata?

I ladini non si differenziano sostanzialmente dagli altri italofoni e neanche fra loro di valle in valle. Paradossalmente nella valle di Fassa, spaccata in due per secoli da una gigantesca frana, i fassani del sud intendono la parlata veneto-trentina dell’attigua val di Fiemme assai meglio che il dialetto dei fassani del nord. Questo perché in ognuno dei due spezzoni vallivi il dialetto per secoli si è evoluto per conto suo.
Notare infine che il fondo lessicale del ladino atesino si differenzia assai poco da quello veneto-trentino (friulano, fassano e ampezzano) e non molto dalle varietà veneto-tridentine (fiammazzo, anaune, valsuganotto). Anzi, il plurale sigmatico latino ereditato dalle tre citate varietà ladine fuori del territorio atesi-no sopravvive solo nel gardenese. Tutto qui.

11) Nei tuoi studi ti sei per forza di cose imbattuto anche nelle popolazioni retiche – cui dedicasti, fra l'altro, due corposi volumi intitolati “La lingua dei Reti”. Quanto la loro arcaica lingua ha inciso sulla toponomastica del territorio?

Stranamente la lingua dei Reti - che ha vaghe affinità con l’etrusco - per quanto mi risulta da una indagine molto sommaria, non ha riscontri sicuri nella toponomastica e nemmeno negli attuali dialetti dell’area retica.


Statuina retica, dal Museo di Sanzeno


12) In conclusione, come pensi possa esser sanata la difficile situazione venutasi a creare in Alto Adige nel corso degli anni?

Semplicemente con un nuovo Statuto che non discrimini il gruppo linguistico minoritario che, secondo la morale di chi ha imposto il vecchio, ha l’imperdonabile torto di essere italiano in Italia. 

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