Dobbiamo
esser sinceri: noi guardiamo alla Corsica come ad una figlia perduta.
Alla stregua di Garibaldi, che seppur gravemente ammalato ed infermo,
volle ammirare dalla finestra della sua stanza da letto le montagne
dell'isola bella fino all'ultimo respiro. Ed ancora oggi a Caprera
una statua dell'eroe rimira le Bocche di Bonifacio con aria sognante,
a perenne ricordo delle speranze del generale: vedere tutte le terre
italiane riunite sotto un'unica bandiera. Da Malta alla Vetta
d'Italia, da Nizza alla Dalmazia. Quei sogni sembrano oggi così
lontani ed inattuali, avvolti da un'aura malinconica. Di alcune terre sembra sia ormai impossibile rivendicare niente. Ma ciò non toglie
che si possa ravvivare la memoria del passato e tessere nuovi legami
culturali, soprattutto laddove è ancora vivo un richiamo alle comuni
radici. E ciò vale in particolar modo per la Corsica.
Nessuno
può negare che l'Italia e la vicina isola abbiano intrecciato più
volte i loro percorsi lungo il tortuoso cammino della storia. Torna a
ricordarcelo con questo bel articolo Luca Cancelliere, tracciando un
profilo sintetico, ma dettagliato, del profondo legame che lega la
penisola alla Corsica. Dalla preistoria all'epoca romana, attraverso
il medioevo, per giungere al secolo dei lumi e al dirompente sorgere
dei primi moti d'indipendenza nazionale in tutta Europa, seguitando
lungo il secolo XX°, tra i progetti d'irredentismo filo-italiano e
la nascita dei movimenti indipendentisti còrsi. Una lunga storia che
si protrae da oltre tre millenni e che, tra alti e bassi, giunge fino
a noi. Essendo stato scritto alcuni mesi fa, manca all'appello
nell'articolo la notizia più importante degli ultimi per la Corsica.
Il 13 dicembre 2015, dopo quarant'anni di lotte, tra attentati,
bombe, militanti incarcerati e scontri intestini al movimento stesso,
i partiti indipendentisti si sono coalizzati ed hanno vinto le
elezioni regionali. Un risultato storico che ha mandato in tripudio
tutta l'isola, tra caroselli festanti e canti di gioia. Pure noi non
abbiamo potuto fare a meno di guardare con sincera soddisfazione a
questo risultato elettorale. E' vero, non siamo mai stati teneri con
le “piccole patrie” ed abbiamo scarsa simpatia per il fenomeno
indipendentista in genere; ma riteniamo che la strenua lotta degli
isolani abbia una profonda giustificazione: la Corsica non è
Francia! I còrsi non sono francesi e parlano una lingua che è
diretta discendente del nostro amato idioma. Questa vittoria può
rappresentare un primo passo di riavvicinamento verso l'Italia. E'
vero, i partiti indipendentisti al momento ci sono distanti e forse
anche un po' ostili perché, oltre ad esser desiderosi di
un'indipendenza tanto agognata, alcuni di loro ci vedono come
possibili “dominatori” di domani. Pesa su questo giudizio
l'occupazione dell'isola da parte italiana nel 1942, che molti còrsi
d'oggi ci rinfacciano con una certa acredine, forse non del tutto
giustificata come dimostra Cancelliere stesso nel suo articolo. Ma
grazie all'opera emerita di alcuni associazioni, sono stati gettati i
primi ponti di collegamento fra le due sponde. Uno su tutti, il
giovane sito "Corsica Oggi", composto da
còrsi ed italiani, di cui è necessario rimarcare una volta di più
l'importanza dell'operato. In primis quello di far riscoprire in
Corsica l'italiano, che fu la lingua colta parlata nell'isola fino
alla metà del XIX° secolo – prima che i francesi ne vietassero
l'utilizzo – e accanto a cui la parlata còrsa prosperava libera e
feconda. In secondo luogo raccontare agli italiani la tormentata e
complessa storia di questa antica isola e del suo fiero popolo.
Obbiettivi di primaria importanza su entrambi i fronti. Perché se i
còrsi vogliono che la vittoria di dicembre non sia un fuoco fatuo,
dovranno riscoprire l'Italia e la sua lingua quali migliori alleate
per la salvaguardia non solo del loro dialetto, ma della loro stessa
identità. Mentre noi italiani, assuefatti da una globalizzazione
sfrenata e sempre più sradicati e spenti, dobbiamo imparare dal
mirabile esempio di dedizione alla causa e spirito di sacrificio
dimostrato in questi lunghi anni dal popolo còrso. Nell'articolo di
Cancelliere si cita un passo profetico di Pasquale Paoli, “u Babbu
di à Patria”, dove affermava che dalle lotte dei còrsi sorgerà
per l'Italia il sole della Libertà, quasi a prefigurare l'esplosione
del Risorgimento nel secolo successivo. Forse sarò un ingenuo, ma mi
auguro vivamente che anche stavolta la Corsica torni ad insegnarci la
cosa più importante: senza sacrificio non si ottiene niente. E che
questo sia un vivido monito per i giorni bui che si prefigurano di
fronte a noi. Solo quando avremo imparato di nuovo a soffrire e a
combattere per la Patria potremo tornare ad abbracciare il popolo
còrso.
Sandro
Righini
“CORSICA
E ITALIA” – Parte I – Corsica e Italia fino al 1729.
Sin
dai tempi proto-storici la Corsica, quarta isola del Mediterraneo
dopo Sicilia, Sardegna e Cipro con i suoi 8.680 kmq, fu legata da una
parte alla penisola italiana, dall’altra alla vicina isola di
Sardegna. La prima grande civiltà corsa fu quella megalitica,
apparsa nel IV millennio a.C. e legata, secondo Giovanni Lilliu, alla
coeva sarda “Cultura
di Ozieri”.Durante
l’Età del Bronzo si diffuse la c.d. “Civiltà
Torreana”, dal
nome delle costruzioni tronco-coniche (“Torri”)
simili ai Nuraghi sardi. Anche in questo caso, il legame con la coeva
civiltà sardo-nuragica è palese. Abitata da popolazioni
liguri sin dal II millennio a.C., la Corsica entrò nella sfera
d’influenza etrusca dopo la battaglia di Aleria del 535 a.C. e fu
poi occupata dai Romani durante la Prima Guerra Punica (264-241
a.C.). Da allora e per due millenni, fatta salva la breve parentesi
dell’occupazione vandalica (65 anni)a cavallo tra V e VI secolo
d.C., la Corsica fu ininterrottamente legata alla penisola
italiana.Essa fece parte del Regno d’Italia medievale, governato
dai Re longobardi fino al 774 e parte del Sacro Romano Impero poi. In
quest fase, vi fu una forte presenza in Corsica delle famiglie
nobiliari italiane degli Obertenghi, dei Pallavicino e dei Malaspina.
Dopo l’anno Mille si impose in Corsica la potenza marinara della
Repubblica di Pisa (1073-1284). Infine, dopo la famosa Battaglia
della Meloria (1284), iniziò il lunghissimo dominio della Repubblica
di Genova (1284-1768). Genova instaurò un’occupazione permanente
solo a partire dal 1374, a seguito del venir meno delle pretese
aragonesi originate dalla bolla d’investitura di Bonifacio VIII.
Già in epoca romana, l’isola aveva subito una profonda
romanizzazione, in ragione soprattutto della distribuzione di terre a
favore di legionari romani provenienti dalle attuali Sicilia e
Calabria e della deduzione delle due colonie di Mariana e Aleria. Ma
soprattutto il periodo pisano fu determinante nella costruzione
dell’identità corsa come la conosciamo oggi. Il volgare toscano si
impose incontrastato nella toponomastica, nell’onomastica (ancora
oggi i cognomi corsi sono prevalentemente di origine toscana), nel
canto popolare e nell’uso ufficiale dell’italiano come lingua
dell’amministrazione e della Chiesa. L’idioma corso formatosi nel
Medio Evo fu definito da Niccolò Tommaseo “Lingua
possente, e de’ più italiani dialetti d’Italia” e “Dialetto
italiano più schietto e meno corrotto”.
L’influsso pisano fu determinante anche in campo artistico e
architettonico: il romanico pisano divenne lo stile architettonico
tipico dell’isola. Dal XIII al XIX secolo, l’Ateneo di
riferimento per i giovani Corsi che intendevano proseguire gli studi
– anche dopo la conquista francese – fu l’Università di Pisa.
Dal XIV secolo in poi, ebbe notevole importanza la “Guardia
Corsa Papale”,
un corpo militare pontificale composto da Corsi, poi sciolto nel
1662. Il governo dell’isola, a partire dalla fine del XV secolo, fu
appaltato dalla Repubblica di Genova al “Banco
di San Giorgio”,
che sottomise la riottosa aristocrazia isolana e diede alla Corsica
un assetto amministrativo definitivo con gli“Statuti
civili e militari” del
1571, che affidavano l’isola al “Magistrato di Corsica” con
sede a Genova e da un governatore residente coadiuvato dal “Consiglio
dei dodici nobili”. I territori erano governati da luogotenenti e i
villaggi da assemblee locali che nominavano i “padri del Comune”.
Un ulteriore elemento che contribuì ad accentuare i legami tra
Corsica e “terraferma” italiana fu il costante afflusso, durato
per secoli fino all’inizio del Novecento, di immigrati dalla
Toscana e soprattutto dalla Lunigiana e dalla Lucchesia. Ancora fino
a pochi decenni fa, con il termine “Lucchesi” i Corsi erano
soliti indicare nel loro complesso gli Italiani continentali. La
costituzione, ad opera dei Genovesi, di nuove colonie di popolamento
di immigrati liguri, come Bonifacio e Calvi, non pregiudicò la
supremazia dell’influsso toscano sull’idioma corso. Di origine
corsa è invece buona parte della popolazione della Sardegna
settentrionale. La città di Sassari nel Medio Evo fu destinataria di
flussi demografici corsi e toscani e l’idioma sassarese riflette la
base corso-toscana (con apporti sardo-logudoresi e, in misura minore,
liguri). Per quanto concerne la Gallura, è noto che dopo le guerre
sardo-aragonesi del XIV e del XV secolo, quel territorio fu in buona
parte ripopolato da Corsi, che vi impiantarono l’attuale idioma
gallurese che può essere considerato una parlata a base
corso-toscana affine al corso ultramontano. Molti Galluresi hanno poi
compiuto in senso inverso il percorso dei loro antenati, emigrando in
Corsica dalla Sardegna. Questo era il quadro linguistico, culturale e
politico dell’isola alla vigilia della Rivoluzione Corsa del 1729.
“CORSICA
E ITALIA” – Parte II – La Rivoluzione Corsa (1729-1769).
Il
notabilato rurale corso, che aveva maturato nelle assemblee locali
del periodo genovese una non trascurabile esperienza politica e che
costituiva un ceto dotato di una propria orgogliosa autocoscienza,fu
il protagonista della lunga Rivoluzione Corsa, scoppiata nel 1729. La
storiografia non è solita ricordare questo importante evento
storico, che pure costituisce la prima delle “rivoluzioni borghesi”
settecentesche e che è direttamente debitrice, se non addirittura
anticipatrice, della cultura illuminista e riformatrice dell’epoca.
L’insurrezione armata contro i Genovesi scaturì nel 1735 nella
dichiarazione costituzionale di Corte, con la quale si proclamò
l’indipendenza del “Regno di Corsica”. In questo
frangente
la Corsica si dotò del suo attuale inno “Dio
ti salvi Regina” scritto
in lingua italiana dal pugliese Francesco De Geronimo.
Successivamente all’intervento francese, richiesto dalla Repubblica
di Genova che non era in grado di sedare la rivolta, e all’assassinio
del capo insurrezionale Gian Piero Gaffori (1753), la Rivoluzione
Corsa trovò un nuovo capo, Pasquale Paoli (1725-1807), nobile corso
formatosi nell’ambiente illuminista napoletano di Antonio Genovesi
e Gaetano Filangieri, che nel 1755 fu proclamato “Generale
della Nazione Corsa” e
promulgò la “Costituzione
di Corsica”,
scritta in lingua italiana. Il carattere italiano della Corsica era
per Pasquale Paoli fuori discussione: “Siamo
Italiani per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo
italiani per lingua, costumi e tradizioni (…). E tutti gli italiani
sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio (…).
Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né “ribelli” e come
italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri
italiani (….). O non saremo nulla (…) O vinceremo con l’onore o
moriremo con le armi in mano (…). La nostra guerra di liberazione è
santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei
nostri monti, spunterà per l’Italia il sole della
libertà”.L’importanza
che Pasquale Paoli annetteva al legame tra Italia e Corsica è
rimarcata anche dal suo testamento del 1804: “Lascio
cinquante lire sterline annue per il mantenimento di un abile
maestro, che nel paese di Morosaglia, luogo di mezzo della pieve del
Rostino, insegni a ben leggere e scrivere l’italiano, secondo il
più approvato stile normale, e l’aritmetica alli giovinetti di
detta pieve, ed agli altri che vorranno profittare di tale
stabilimento (…). Avendo desiderato che fosse dal governo riaperta
una scuola pubblica in Corte, luogo di mezzo per la maggior parte
della popolazione dell’isola, lascio ducento lire sterline annue
per il salario di quattro professori, il primo perché insegni la
teologia naturale e i principj di evidenza naturale della divinità
della religione cristiana; il secondo la etica e ii dritto delle
genti; il terzo i principj della filosofia naturale, ed il quarto,
gli elementi della matematica. E desidero che agli alunni
l’insegnamento dovrà farsi in italiano, lingua materna de’ miei
nazionali. (…) In caso poi che questa scuola in Corte non potesse
aver luogo, fermo nel proposito di contribuire all’istruzione de’
miei nazionali, lascio ducentocinquante lire sterline annue per il
mantenimento di cinque alunni in alcuna delle migliori università
del continente italiano. Due dovranno essere scelti nel dipartimento
del Golo, due in quello del Liamone (…), il quinto sarà della
pieve di Rostino”.Pasquale
Paoli, dopo varie vicissitudini che lo videro anche protagonista
delle vicende rivoluzionarie del 1789, morì in esilio a Londra
nel 1807 e fu sepolto nell’Abbazia di Westminster. Quando nel 1889
i suoi resti furono portati nella tomba di famiglia a Stretta di
Morosaglia, la lapide fu scritta in italiano. Ma torniamo alle
vicende della Rivoluzione Corsa anteriori al 1769. In un primo
momento, la fortuna delle armi e la volontà di indipendenza del
popolo corso riuscirono ad avere la meglio sulla potenza militare
francese. I Francesi ebbero in quella guerra più caduti che nella
guerra d’Algeria. Tuttavia, dopo alcuni anni durante i quali
Pasquale Paoli si era dedicato con successo e sagacia a gettare le
fondamenta amministrative e militari della Corsica indipendente, la
cessione dell’isola da Genova alla Francia avvenuta con il Trattato
di Versailles del 1768 mise in difficoltà i Corsi, che furono
definitivamente sconfitti dai Francesi nella celebre e sfortunata
battaglia di Ponte Nuovo del 7 maggio 1769.
“CORSICA
E ITALIA” – Parte III – La Corsica sotto l’occupazione
francese (1769-1918).
Dopo
la brevissima esperienza del c.d. “Regno anglo-corso” del
1794-1796, che darà un’altra Costituzione della Corsica, anche
questa volta scritta in lingua italiana, l’Ottocento vide la
definitiva scomparsa delle tradizionali istituzioni assembleari dei
villaggi corsi e un sempre maggiore accentramento in capo al governo
di Parigi delle funzioni amministrative, esercitate tramite i due
Prefetti dipartimentali dell’isola. La “guerra del Fiumorbo”
del 1815-1816 fu l’ultima grande fiammata insurrezionale corsa.
Durante l’Ottocento, in virtù di un decreto del 10 marzo 1805 che
derogava per l’isola all’uso obbligatorio del francese,
l’Italiano era ancora la lingua ufficiale dell’amministrazione,
della Chiesa e della cultura. L’uso puro della lingua italiana era
tipico degli esponenti del notabilato corso che “parlanu in
crusca”, mentre il popolo parlava il vernacolo corso. Il primo
significativo brano in idioma corso apparve all’interno dell’opera
in lingua italiana “Dionomachia” del
1817, scritta dal magistrato Salvatore Viale: “O
Spechiu d’e zitelle di la pieve/O La miò chiara stella
matuttina/Più bianca di lubrocciu e di la neve/Più rossa d’una
rosa damaschina/Più aspra d’a cipolla, e d’u stuppone/Più dura
d’una teppa, e d’un pentone…”. L’autore
così rivendicò l’appartenenza
dell’idioma
corso alla lingua italiana: “Dalla
lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo
finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l’italiana.
La fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia,
nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d’essere e di
sentire: cose tutte nelle quali l’uomo corso essenzialmente
differisce da quello del continente francese e soprattutto dal
prototipo dell’uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò
della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi
stessi principi; e la lingua corsa è pure italiana; ed anzi è stata
finora uno dei meno impuri dialetti d’Italia”. Mazzini,
che nel ’31 vi giungeva da Marsiglia, così descrisse il suo arrivo
in Corsica:“là
mi sentii nuovamente, con la gioia di chi rimpatria, in terra
italiana… Da Bastia ed Ajaccio in fuori, dove l’impiegatume era
di chi lo pagava, ogni uomo si diceva d’Italia, seguiva con palpito
i moti del centro e anelava a ricongiungersi alla Gran Madre”. Il
18 febbraio 1831, a testimonianza della concorde reputazione della
Corsica come terra italiana, nell’ambiente rivoluzionario parigino
il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di
Parigi inserirono nell’accordo tra rivoluzionari italiani e
francesi lo scambio tra Corsica e Savoia. Molti Corsi parteciparono
al Risorgimento Italiano, come Leonetto Cipriani, che partecipò alla
Prima Guerra d’Indipendenza del 1848-1849 e alla Spedizione dei
Mille del 1860. La lingua italiana cominciò a essere vietata a
partire dalla sentenza della Corte di Cassazione di Parigi del 4
agosto 1859 che ribadì – dopo che già dal 1852 era stato
stabilito che si dovessero redigere esclusivamente in lingua francese
tutti gli atti dello stato civile – che la sola lingua ufficiale in
Corsica era la lingua francese. Si temeva infatti, all’indomani
della Seconda guerra d’Indipendenza italiana, che il neonato Regno
d’Italia potesse avanzare rivendicazioni sulla Corsica. Nel 1870,
peraltro, diversi esponenti politici italiani suggerirono a Vittorio
Emanuele II, che non accolse il suggerimento, di approfittare della
sconfitta francese a Sedan, oltre che per annettere Roma, anche per
recuperare la Corsica. Nel marzo 1871, il giovane deputato radicale
Georges Clemenceau propose all’Assemblea nazionale di prendere in
considerazione la cessione dell’isola di Corsica all’Italia.
Questa proposta si giustificava alla luce del sostegno che la
Corsica, e particolarmente Ajaccio, avevano dato alla persona
dell’Imperatore, e al conseguente ondata discriminatoria contro i
Corsi che seguì alla proclamazione della Terza Repubblica Francese.
Il 19 maggio 1882, pochi giorni prima della sua morte, Garibaldi
affermò che“La
Corsica e Nizza non debbono appartenere alla Francia; e verrà un
giorno in cui l’Italia, conscia del suo valore, reclamerà a
ponente e a levante le sue province, che vergognosamente languono
sotto la dominazione straniera.” In
quegli anni Emmanuel Aréne di Ajaccio, repubblicano moderato, impose
i metodi clientelari e corruttivi della sua “consorteria” nella
vita politica e sociale della Corsica. La Francia, con la sua
politica doganale isolazionistica e discriminatoria per l’isola
(cui vennero applicati, fino al 1912, un dazio del 15% per le merci
esportate verso la Francia, ma del 2% per quelle importate dalla
Francia), recise gli storici legami economici tra la Corsica e la
“terraferma” italiana, con grave danno per l’economia
dell’isola. L’istituzione di numerose scuole elementari
nell’isola e l’arruolamento di tanti giovani Corsi nelle Forze
Armate Francesi durante la Prima Guerra Mondiale (con quasi 20.000
caduti), intanto, acceleravano la diffusione della francofonia
nell’isola.
Luca Cancelliere
(segue...)
Luca Cancelliere
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RispondiEliminaDa quest'articolo si evince come Pasquale Paoli non si sentisse solo un eminente uomo di governo della Corsica, ma il suo essere politico andava al di là dei confini isolani e guardava l'Italia come a una patria più grande. Io mi auguro che i Corsi di oggi possano seguire e scoprire lo stesso itinerario politico e culturale.
RispondiEliminaBuonasera Sig. Gianfranco,
RispondiEliminaè ciò che ci auguriamo noi stessi. E' necessario riprendere a guardarsi, ma con uno spirito nuovo. Abbiamo di che guadagnarne, in senso alto, su entrambi i fronti.