PAROLE D’ORO
di
TESERO, FIEMME E «FÖRAVIA»
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Divagazioni fra lingua e tradizione
a cura di:
Ferruccio Bravi e Tarcisio Gilmozzi
Rielaborazione ampliata e aggiornata di
alcuni capitoli dell’edizione a stampa (esaurita)
in 8°, di 154 pagine + 7 tavole f.ta colori da tempere dell’artista fiemmese
Bepi
Zanon
,.
a
richiesta sarà inviato in omaggio un estratto deltesto più ampio e
correttamente impaginato
(contattare: silvalentauser@hotmail.it)
Preambolo
È una selezione della
rubrica "Parole de or" che per molte domeniche ha intrattenuto gli
ascoltatori di Radio Fiemme 104. Perché parole d'oro? Presto detto:
nella parlata del paese di mia Madre – Tesero in Val di Fiemme, inclito borgo
di circa 3000 anime che gode fama di ‘Patria de i Sapientoni’ – sopravvivono
voci preziose; preziose nel senso che hanno conservato l'antico suono e la
carica espressiva originaria. Alcune di queste voci hanno colore e
musicalità 'toscana'; altre, come certe bacche
mature, hanno un contenuto denso e succoso da valere un discorso. Su
questa torta metto ancora una chicca: la s sorda pure ‘toscana’
accanto a quella dolce veneta. È una s quanto
mai asperrima a Tesero e solo a Tesero, secondo me la stessa dei mediterranei
Reto-Etruschi stanziati in antico sulle Alpi Orientali. Un blasone
glottologico, per cui rimando al capitolo Una S con tanto di cappello.
Le parole fiamazze sono da
mettere in cornice. E in cornice abbiamo voluto metterle mio cugino Tarcisio e
io. Non ci siamo limitati ad allineare una serie di vocaboli con i rispettivi
significati e l'indicazione delle origini;
ma li abbiamo agganciati, i vocaboli, al quadro
d'ambiente con opportuni richiami alla saggezza
e alla serena quiete del buon tempo antico. L'oro
delle parole, dunque, non sta nel vocabolo in sé, ma
essenzialmente in ciò che esso contiene, vale a dire
nel portato ideale ed affettivo che vi è racchiuso.
Certe parole sono da salvare
perché si avviano a scomparire o, quanto meno, a sopravvivere
come gusci vuoti. In questa prospettiva abbiamo recuperato non solo
i vocaboli estinti o in via di estinzione, ma anche quelli tuttora
vitali in un contesto culturale che non esiste più.
L'etimologia, risalendo
all'origine della parola, comporta un assiduo va-e-vieni da un dialetto
all'altro e al tempo stesso un saldo ancoraggio alla buona lingua. In
questo campo mi sono sbizzarrito io, non proprio forèsto in valle
benché vissuto altrove più di tre quarti della mia irrequieta esistenza. Il
coautore Gilmozzi. è teserano spòtico, innamorato
del dialetto come Dante dell'idioma
gentile: e se Radio Fiemme non gli assorbisse tutto il tempo libero, state
sicuri che vi regalerebbe un poema tutto in fiamazzo. Insomma: siamo due
soggetti dissimili, ma bene appaiati nell’interesse culturale.
Per la competenza
lessicale abbiamo utilizzato le note raccolte dei due Zorzi, Aldo e Narciso, e
di D. Angelo Guadagnini, affidabili in specie per le voci antiquate.
F.B.
Saór da ‘sti agni
SAPORE DEL PASSATO
Di Bepi
Zanon, illustratore di questa pubblicazione, hanno scritto: «Affabile e dotato di
vasta cultura artistica e scientifica è estroverso e brillante nel conversare,
quanto solenne e sublime nell’espressione pittorica: non solo nel ritrarre la
Natura, ma anche nelle scene d’interno».
Scene,
come questo Ritorno dalla pesca, vive nella luminosa tessitura dei colori. La
luce che nel dipinto seguente si effonde dalla fiamma in un gioco di chiarori e
riverberi, qui filtra discreta a illuminare la serena intimità della costumata
famigliola rurale.
Nel regno di
Saturno
Falciare
a mano è un'arte sempre meno praticata. E in un certo senso è un rito: c'è chi
attribuisce un significato magico-religioso ai gesti che accompagnano
l'opera del falciatore o ai simboli che ne decorano gli attrezzi.
A
Trodena – villaggio di lingua tedesca integrato nella Magnifica Comunità di
Fiemme – è tuttora viva la tradizione di falciare ‘a ruota’ disegnando spirali
e vortici. È un riflesso del culto solare. Così pure le croci, le stelle, le
corna, le teste di serpenti, incise sui foderi dove si riponeva la falce
fienaria per tenere lontane le streghe e le serpi. E
il far "cantare" la lama,
prima d’iniziare il lavoro e nelle pause, scaccia i folletti che mandano a
male il fieno appena tagliato. Folletto o gigante, si riconduce al culto del
sole anche il salvanèl che a Tesero bada ai fatti suoi, ma altrove fa
dispetti e guasta i lavori dell'uomo. Se ne parlerà più avanti a proposito di Silvano,
divinità solare prima che silvestre.
Credenze
agresti e residui del culto antichissimo di Saturno sono penetrati nelle nostre
valli in età più recente, quando i Romani introdussero nella Rezia le loro
tecniche, i loro attrezzi e la terminologia della fienagione.
Ad es.
secare: in latino vuol dire anche ‘tagliare’
in particolare il foraggio; ne derivano sia il trentino siegar che lo
spagnolo segar, ambedue col significato di ‘falciare’. Segare si
usa con tale accezione anche nella buona lingua: «La gente che sega le magre
sue messi» (D’Annunzio).
Mi par
di ravvisare un riverbero del culto di Saturno nel Latercolo del Sator,
cioè del seminatore. Questo latercolo, definito ‘quadrato
magico paleocristiano’, è diffuso in una vasta area del nostro continente;
in Italia in particolare dalle
Alpi alla Campania. L’attestazione più
recente l’ho rinvenuta nella ritirata di un corridoio di ronda di Castel
Mareccio a Bolzano. Risale al XVI secolo e fu nota ben prima di
quella pompeiana (graffito anteriore all’eruzione del 79 d.
C., rivenuto nel 1936).
Il quadrato
contiene cinque parole così disposte e leggibili nei quattro sensi:
S A T O
R
A R E P
O
T E N E T
O P E R
A
R O T A
S
Formano
una frase latina traducibile letteralmente: ‘il seminatore Arepone
tiene con l’opera le ruote’. Il senso sfugge, tanto
che le interpretazioni, in quasi quasi
venti secoli, non si contano e fanno a pugni fra loro. La zuffa più
accanita infuria sul nome Arepo accaparrato dai tedeschi in una con
Aribone ed Arbeone, personale di là da venire, ma presente in Italia fino alla
Sicilia.
Un po’
per celia e un po’ per non mancare, sparo qui la mia interpretazione che non
sfigura troppo rispetto alle altre: ‘Saturno Creatore governa le ruote del
creato col suo operare’ (arepo < mediterraneo *ar-
‘fare, creare’ da cui anche Aremia epiteto
di Reitia creatrice, la Madre
Terra dei Reti e dei Veneti).
Sulla matrice cristiana del
quadrato gli esperti sono divisi da evidenti contraddizioni. Nondimeno negli
Anni Venti due studiosi, Sigurd Agrell e Felix Grosser, l’uno all’insaputa
dell’altro, disposero in croce le lettere del latercolo in modo da leggere due
volte "Pater Noster" con l'avanzo di due A ed O significanti l'alfa e
l'omega, il principio e la fine:
A P Ω
A
T
E
R
P A T E
R N O S T E R
O
S
T
E
A R Ω
Il
mistero perdura. Per un panorama delle infruttuose indagini segnalo lo studio,
‘quadrato’, – sì. per acume ed esattezza d’informazione –di Rino
Cammilleri: Il Quadrato Magico, un mistero che dura da
duemila anni, Milano (Rizzoli, BUR) 2004.
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