Quale
artificio si è potuto escogitare per “allineare” lo scomodissimo
Monumento alla Vittoria di Bolzano, ingombrante relitto fascista, al
concetto di nuova Italia e di Europa che ci viene continuamente
propinato?
Ce
lo svela la nostra Maria Cipriano, la quale con un breve ma vivace
articolo, ci fa rivedere questo monumento sotto la sua vera luce, per
quello che rappresenta in realtà, nel passato e nel presente, e per
quello che, purtroppo, gli viene fatto forzatamente rappresentare
oggi, generando uno dei simboli della distorsione morale che appesta
la nostra società.
Gruppo
di Studio Avser
C'ERA UNA VOLTA...
C'era
una volta un monumento alla Vittoria, a Bolzano.
Costruito
da architetti e artisti insigni di cui oggi s'è perso lo stampo. A
chi non sa di quale vittoria si tratti e sbalordisce ed è preso dal
panico a questa sola parola, bisogna ricordare che, benchè oggi come
oggi la sua sola evocazione dia fastidio a molti, l'Italia vinse una
guerra mondiale nel 1918 contro il millenario Impero austro-ungarico.
I fatti della Storia, se molte volte appaiono controversi e
richiedono indagini approfondite e ricerche, certe altre sono invece
chiari come l'acqua: e la Vittoria del 1918 è uno di questi casi. Ma
tutto ciò non va bene, non è gradito al nostro “nuovo mondo”.
Può infatti una Vittoria come quella del 1918 trovare albergo in
una Italia come la nostra, dove si vuole equiparare i disertori ai
combattenti? Dove un papa ha inneggiato alla pace davanti ai 100.000
caduti di Redipuglia, proprio lui che proviene da un paese che nel
1982 ha fatto guerra a tutto il Regno Unito (e l'ha persa) per alcune
isolette nell'Atlantico? Proprio lui che non vede che tutti i
migranti dell'Africa e dell'Asia cui insiste a voler spalancare le
porte della penisola starebbero molto più larghi e comodi in
Argentina?
Il
significato e il messaggio del monumento alla Vittoria di Bolzano è
sempre stato così chiaro e univoco, così lapalissiano, e così
ingombrante la sua presenza per l'antifascismo in servizio
permanente, che, proprio con la scusa che fu costruito dal Fascismo,
si tentò di esorcizzarlo in varie maniere e c'è chi aveva proposto
addirittura di distruggerlo e farlo sparire, come sono state fatte
sparire le aquile di Druso dal ponte sul torrente Talvera, nella
stessa città. Ma era troppo grossa, e, forse, abbiamo ancora un
Ministero dei Beni culturali. Forse. Che fare, allora, per
“depotenziare” (è il linguaggio dell'amministrazione comunale,
coniato brillantemente per l'occasione) quell'insopportabile
architettura della protervia Ducesca? Quell'odioso simulacro
trionfalistico di un'Italia che dev'essere sconfitta per definizione,
e se osa alzare un pochino la cresta trova subito chi gliela vuole
abbassare con una randellata? In poche parole: che fare per
accontentare gli austriaci-sudtirolesi, proclamati vittime finanche
del nazismo (e dunque assolti da ogni complicità col medesimo), che
un recente libretto di Lilli Gruber ha riattizzato nelle loro
continue lagne, raccattando stuoli d'italioti indignati e
piangiulenti per le angherie subite dalla nonnina della medesima per
mano -e che ti pare- dei ben noti loschi figuri in camicia nera? Che
fare, insomma, per scrollarsi di dosso l'odioso memoriale
nazional-fascista? Semplice. Lo si rimaneggia, lo si ritinteggia, lo
si volta e si rivolta, lo s'improfuma di democrazia, finchè non ne
viene fuori il significato gradito, in linea coi tempi nuovi. Tempi
bui, come tutti i patrioti sanno, se la treccioluta Eva Klotz in
costume da Heidi ha potuto indire due anni fa il solito “referendum
casalingo fai da te” per il ritorno dell'Alto Adige a quell'ameno
staterello montano di 8 milioni di abitanti che è l'Austria. E
d'altra parte con un Presidente del Consiglio che regala pezzi di
mare alla Francia la quale farebbe meglio a occuparsi d'altro, può
meravigliare tutto ciò? Di cosa possiamo più meravigliarci se circa
la metà degli italiani sembra divertirsi di fronte allo sfascio
della nazione o comunque non curarsene affatto? E' diventato un
paese, questo, abitato da un gregge cloroformizzato dove le parole
magiche - europa, convivenza, pace, bontà planetaria - che mai si sono
realizzate e mai si realizzeranno, sono sufficienti a mettere in
funzione il meccanismo di un subdolo ricatto morale e addirittura
religioso.
In
tal modo anche a Bolzano si è compiuto un esercizio molto di moda
oggigiorno: stravolgere la realtà storica. E così come i briganti
meridionali sono stati trasformati in eroi, Garibaldi in un furfante,
il Risorgimento nell'invasione dei Piemontesi, e ribattezzate come
“fedelissime dei Borboni” città che non lo furono affatto,
poteva in siffatto clima anche il venerabile monumento di Bolzano non
fare una fine altrettanto miseranda? Si fa presto a prendere un
monumento e “ribattezzarlo” alla luce dei tempi nuovi: buonisti,
europeisti, mondialisti. Fatto sta che un monumento è storico quando
conserva e trasmette ai posteri il proprio intatto significato
originale. Che ai posteri questo significato non vada più bene e
vogliano sostituirne un altro, per opportunità e opportunismo, per
superamento dei confini (che non sono superati affatto), per l'Europa
(che esiste solo sulla carta) e per cento altre ragioni, è
un'alterazione del monumento stesso, il quale apparentemente risulta
intatto, ed anzi restaurato e ridipinto, ma in realtà è stato
rimaneggiato nel suo profondo significato storico. Anche nel libro
1984 di Orwell si dilettavano a manipolare il passato a uso e consumo
del presente, mi pare.
Dunque,
per stuoli di persone smaniose di ammucchiare e integrare in un magma
informe tutto e tutti, codesto “nuovo” monumento di Bolzano
ripulito e lucidato dalla vernice della pace, deturpato da un
orribile bracciale abbarbicato a una colonna che è il suo nuovo
marchio di fabbrica, è cosa bella e buona. Ma per noi che lo teniamo
vivo nella memoria per quel che era e dovrebbe essere, esso è morto,
ha perso la sua vita, ucciso e defraudato dei suoi contenuti
autentici, dell'energico messaggio di cui era portatore. Era un
messaggio nazionalista, patriottico, fascista? Era il suo messaggio,
un messaggio Italico-Romano. Un messaggio sacro che mai come oggi
servirebbe. Un messaggio chiaro. Adesso, in questi tempi ambigui, i
vari corifei della democratica ammucchiata multietnica potranno
rimestarci dentro ciò che vogliono, ma la Storia resta quella che è,
per chi ha la fortuna di conoscerla.
Che
poi ci siano code di visitatori incantati, questo non significa
niente, anzi: è un motivo in più per darsi alla fuga.
Il
monumento alla Vittoria è diventato così, sotto gli occhi degli
Italiani impotenti ad abbozzare una qualsiasi reazione foss'anche
artistica e di buon gusto, una vuota e triste rimembranza del tempo
che fu, un sepolcro imbiancato dall'ipocrisia di questi tempi
sciagurati, dietro a cui si celano e si complicano gli irrisolti
problemi del presente, del passato e del futuro di una regione dove
gli italiani hanno sempre dovuto lottare strenuamente per non essere
cancellati completamente dalla protervia dell'elemento germanico che,
calando da nord in casa loro, ha fatto di tutto per sostituirvisi:
peraltro senza riuscirci. E questa è la Vittoria più grande che
nessun rimaneggiamento potrà mai cambiare. La Vittoria della nostra
innata resistenza, contro tutti e tutto, che i grandi Avi Romani ci
hanno lasciato come doverosa consegna per tutte le generazioni.
Maria
Cipriano
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