In
quanti, tra istituzioni pubbliche, giornali, periodici e telegiornali
nazionali hanno ricordato la battaglia di San Martino e Solferino
combattutasi il 24 giugno del 1859? Anche sulla rete, solitamente più
aperta e attenta alle ricorrenze, la battaglia decisiva della IIª
Guerra d'Indipendenza è stata scarsamente ricordata, subissata anche
dal ricordo della più eclatante “Battaglia del Solstizio” che
vide ribaltare le sorti della Grande Guerra. Sul nostro territorio –
la Versilia – il Comune di Pietrasanta si è invece distinto per
una meritevole iniziativa al riguardo. Domenica 25 giugno, insieme
all'Associazione Reduci delle Patrie Battaglie e Fratellanza
Militare, si è svolta nella cittadina una sfilata con deposizioni di
corone d'alloro presso vari monumenti, conclusasi con lo schieramento
intorno al Sacrario “Reduci Patrie Battaglie” presso il Cimitero
Urbano. Lì è avvenuta l'ultima deposizione, seguita dalla
benedizione del Sacrario e dal coreografico volo di tre deltaplani a
motore sopra il cimitero con rilascio di scie tricolori. Tutto
meritevole e degno di nota: una ventata patriottica tra l'asfittica
maggioranza delle manifestazioni patrocinate dalle nostre istituzioni
pubbliche. Eppure anche qui un neo dobbiamo segnalarlo. La
deposizione della corona al Sacrario è stata preceduta da un
alzabandiera. Insieme a quella italiana e francese - giacché le
truppe transalpine ci furono alleate in quella guerra - è stata
alzata anche la bandiera dell'Unione Europea. Non è per fare sterile
polemica, ma quella bandiera è un po' come un cazzotto in un occhio, una nota stonata, un'offesa ai numerosi volontari pietrasantini inquadrati
nell'Armata Sarda, che per l'occasione si volevano ricordare. Se nei pensieri dei
nostri Patrioti dell'800 risuonò il nome di Europa, non è certo a
questa costruzione tecno-finanziaria, strangolatrice dei popoli e
delle identità, che essi pensavano. Ben ce lo spiega con questo suo
nuovo articolo la nostra collaboratrice Maria Cipriano,
che per l'occasione traccia un profilo dettagliato dell'attuale
situazione servile in cui langue l'Italia all'interno di questa
Europa, satellite americano. Sottolineando, altresì, a quale Nazione
e a quale Europa guardavano le anime più fervide e lungimiranti del
Risorgimento, con l'intento di fare inoltre chiarezza su molti dei
luoghi comuni che purtroppo oggi predominano su quel momento storico.
Una lettura necessaria, quand'anche dura e severa, per ogni sincero
patriota che non voglia fermare lo sguardo alla superficie o
lasciarsi abbindolare dai luoghi comuni dei tanti storici da
strapazzo che vanno di moda oggi. Bisogna avere il coraggio di
guardare in faccia la realtà, ricordarsi da dove veniamo e chi
siamo, per poter trovare una via d'uscita dal vicolo cieco in cui
siamo finiti.
Gruppo
di Studio AUSER
CHI
HA PAURA DEL RISORGIMENTO?
Umberto Coromaldi - Camicie rosse - 1898 - Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea - Roma |
In questi tempi sciagurati dove banchettano indisturbati i nemici della Patria, ben si capisce che non si riesca a celebrare degnamente il Risorgimento con una data apposita ad esso dedicata, come sarebbe doveroso e naturale; anzi i soliti idioti che ormai infestano la penisola hanno suggerito di fissare una data celebrativa opposta, il che la dice lunga su come siamo ridotti. E che siamo ridotti alla frutta e forse al liquorino è comprovato dal fatto che il tanto festeggiato Trump -festeggiato da chi sperava fosse il contrario di Obama-, è atterrato a Roma per la visita solerte al Santo Padre, cui si è presentato raggiante, come noi fossimo ancora uno Stato pre-unitario, o comunque a sovranità secondaria, limitata in qualche modo da una sorta di Stato Pontificio redivivo cui tutti i capi stranieri con tanto di consorti velate di nero (tranne la regina di Spagna che può velarsi di bianco) sono anelanti di porgere omaggio. La sindrome di Carlo Magno e della notte di Natale dell'anno 800 in cui dal papa dell'epoca il Re dei Franchi fu incoronato imperatore di un Sacro Romano Impero che di Romano aveva solo il nome, striscia tuttora nel terzo millennio, unita ai più flaccidi cascami di un buonismo con cui viene continuamente sbacchettato e messo a cuccia un paese che non è più in grado neanche di abbaiare alla luna, figuriamoci di reagire in modo concreto. Da qui la visita di Ivanka Trump alla comunità di Sant'Egidio, l'ennesima accolita di anime caritatevoli a senso unico in giro per il mondo (che però, ahimè, rimane quello che è e delle due peggiora), del tipo “aiuto chi mi pare e piace, decido io chi va in paradiso e chi no, chi è cristiano e chi non lo è”. Non contenta, la first daughter, con l'immancabile contorno delle solite smancerie italofile culinarie, ha visitato, dopo il Pantheon, la sottosegretaria Boschi, che con il superbo monumento degli antichi Padri non si capisce proprio cosa ci abbia a che fare. Quel che ci sembra di capire è che da parte degli americani si è registrato un allineamento perfetto al potere nostrano catto-comunista da far invidia all'allineamento dei pianeti. In tal modo, il messaggio al fido valvassore della penisola di non uscire dal seminato e continuare nella macabra autodafè che toccherà il culmine il 15 giugno con la discussione al Senato dello ius soli (ormai già bello che deciso in barba a noi poveri fessi), è stato riconfermato in modo chiaro, nonostante speranze iniziali di rivolgimenti con questo nuovo presidente d'oltreoceano, speranze puntualmente andate in fumo. Mentre qualcuno s'illude che l'America cessi di contare e le frecciate della Merkel sull'europa che deve fare da sé significhino qualcosa di diverso da “l'Europa dev'essere comandata dalla germania”, il quadro che se ne ricava è ben diverso, e cioè che l'europa comandata dalla germania è ancora peggio di quella guidata dall'america che, almeno, è una superpotenza, e le alzate di testa della cancelliera non serviranno certo a depotenziare gli Usa sul piano internazionale. Il fatto è che Trump, da buon magnate, vuole incamerare i vantaggi e non le perdite, e dunque i gravi problemi del vecchio continente non li sbroglierà certo lui, e li lascerà tutti a frau Merkel che sarà capace solo di peggiorarli, com'è avvenuto per la povera Grecia.
Morale
della favola: l'europa da sola non combinerà un bel nulla perché
non esiste altro che sulla carta, è una creatura artificiale e
artificiosa che persiste nei suoi errori, sorda ai reclami dei
rispettivi popoli i quali rivogliono i propri paesi com'erano prima
dell'invasione e tanto meno vogliono i comuni centri sovranazionali
che fanno comodo a Berlino; intanto gongolano i Sauditi, nel cui
paese vige il reato di stregoneria, alleati in pole position
degli americani, cui fa da ostacolo solo l'Iran e quel che resta
della Siria di Assad, apparsi in forma smagliante felici e contenti,
stracarichi di armi e di soldi con cui potrebbero mantenere mezza
Africa, usciti dalla visita di Trump più ringalluzziti di prima,
mentre il nuovo Medio Evo oscurantista avanza nel cuore di un
continente rimbecillito che a suo tempo inventò gli aerei, il
cinema, gli antibiotici, il telescopio, il telefono, il computer,
l'automobile, il treno, ma a cui oggi ben si attaglia il celebre
detto italico “chi è causa del suo mal pianga se stesso.”
E dal G7 di Taormina s'è subito capito che le cose rimarranno tal
quali e anzi andranno di male in peggio: gli immigrati (pardon
migranti) continueranno a sbarcare a frotte, pasciuti e coi
telefonini in mano, curati, assistiti e incarcerati a spese nostre,
nonché beneficati della cittadinanza per la gioia e gloria dei
caduti del Piave e di Vittorio Veneto, di cui peraltro un esercito di
cornacchie pacifiste aveva già decretato l'inutilità e cancellato
la festa nazionale che li celebrava; i sospetti di estremismo
islamico e addirittura gli espulsi continueranno a girellare
indisturbati, i terroristi a colpire, le aziende a chiudere, i poveri
a moltiplicarsi, la sovranità nazionale a decrescere, la televisione
ad ammansire le folle, la sicurezza dei cittadini a fare acqua da
tutte le parti, i prodotti del made in Italy, soprattutto in campo
agroalimentare, ad essere seriamente danneggiati da trattati come il
CETA, che avvantaggiano smaccatamente le multinazionali
d'oltreoceano, dove peraltro i controlli sanitari sono piuttosto
larghi e si usano pesticidi proibiti qui in Italia.
A
chi mi chiedesse come mai siamo finiti in questo modo -3000 anni di
Storia d'Italia franati sull'orlo di un buco nero-, risponderei che
quando si allentano e
addirittura si tagliano o, peggio, rinnegano i legami col passato,
quando non c'è più la trasmissione dei ricordi dai vecchi ai
giovani, quando i vecchi non sanno più raccontare, tramandare e
comunicare i grandi ideali a far da stimolo e sprone, incoraggiamento
e sostegno alle nuove generazioni, quando non c'è più nulla di cui
andare orgogliosi e fieri perché hanno fatto terra bruciata, quando
difendere l'Italia diventa quasi una colpa (e diventerà un reato se
andiamo avanti così), quando la Patria viene ridicolizzata e
considerata un anacronismo perché bisogna guardare oltre
(dove, all'europa della Merkel?), quello è il momento in cui il buco
nero si avvicina per inghiottire con la sua forza attrattiva anche la
luce. Allora non ricorderemo più, la nostra Storia sarà stata
uccisa, rimodellata secondo i nuovi parametri stabiliti dai nuovi
dispotici padroni di un'europa gradita solo a loro e alle pecore che
li seguono. Ai nostri figli, nipoti e pronipoti è questo che li
aspetta: il buco nero, il punto di non ritorno. Già si vedono
chiaramente gli effetti di questo risucchio nel nulla: mentre prima
c'era chi faceva argine e decisa opposizione alla denigrazione e
banalizzazione della nostra Storia, alla messa in ridicolo perfino
della Grande Guerra, in una parola ai tentativi di infangare e
cancellare l'Italia, nonché di recarle danni economici, ora queste
bertucce trovano sempre più spazio, sproloquiano indisturbate, hanno
invaso ambiti politici che si credevano immuni, creando uno zibaldone
confuso, un polverone di sciocchezze in cui sguazza una becera
plebaglia invasata dal “cupio dissolvi” della nazione.
L'appena
scorsa riunione in pompa magna del G7, nella splendida vetrina del
golfo di Taormina, del Teatro Greco, degli storici hotel San Domenico
e Timeo, e della famosa piazza Duomo di Catania, gestita dalla
placida mansuetudine del presidente del Consiglio Gentiloni, non è
stata, appunto, che una bella vetrina, del tutto avulsa dal popolo
italiano che il governo dovrebbe rappresentare. Dietro di essa, si
agitano le ombre di una nazione che non comunica più coi suoi
governanti che cordialmente detesta, e vive rassegnata, fredda e
distante, nelle sue ambasce e nei suoi problemi irrisolti. E'
un popolo che ormai non ha quasi più reazioni, come fosse stato
addormentato, perché sennò non gli si sarebbe potuta sbattere in
faccia impunemente la marcia pro-migranti come uno schiaffo sulla
ferita, né il presidente della regione Lombardia Maroni potrebbe
indire, coi suoi comparucci veneti, un referendum sull'autonomia,
intorno a cui la furbetta truppaglia leghista rompe le scatole da
decenni. In questo caravanserraglio ognuno ormai può dire e fare ciò
che vuole contro l'Italia, tanto l'apatia degli italiani col suo
inconcludente silenzio pregno di rancore, non sfiora nemmeno i nostri
governanti i quali, come già Maria Antonietta e Luigi XVI di Francia
dentro le belle mura di Versailles, bellamente se ne infischiano del
malcontento generale e stanno procedendo a lunghi passi alla firma di
altri dannosi trattati, alla cessione di altra sovranità, alla
legalizzazione di milioni di stranieri, incuranti del fatto che gli
autori dei sanguinosi attentati spesso e volentieri avevano la
cittadinanza del paese d'accoglienza.
In
tutto questo, il Risorgimento doveva servire a tenere in mano la
bussola, doveva svolgere il suo prezioso e insostituibile contributo
storico al mantenimento dell'identità nazionale, doveva essere una
bandiera perenne. Non è stato così, anzi gli hanno sputato addosso,
inventando accuse inesistenti, il che non è avvenuto certo per caso.
E se l'antirisorgimento apportatore di disgrazie rifulge anche
dall'anacronistica smania di baciare la pantofola vaticana, che
dovrebbe quantomeno seguire l'omaggio alle nostre istituzioni per
quanto disastrate esse siano, ma che invece le precede o sostituisce
addirittura, le scosse che si pensava Trump avrebbe assestato al
nuovo ordine mondiale vanno relegate nel mondo dell'elettrotecnica,
perché l'unica scossa che ha dato -perlomeno a noi- è stata quella
d'ingiungere al nostro Governo di raddoppiare i contributi finanziari
alla Nato, in quanto gli americani non vogliono pagare per la
sicurezza degli altri. Il che sarebbe anche giusto se noi, a dir
la verità, con 120 basi americane sul territorio (non ne bastavano
una dozzina?) -e altre venti super segrete di cui non si conosce
neanche l'ubicazione-, ci accolliamo un'enormità di spese all'anno
che gravano
sul già spremuto limone del contribuente italiano. Ma dovremo pagare
e zitti: altro che l'europa farà da sé!...
Ma
torniamo al Risorgimento, i cui protagonisti, se vedessero come siamo
messi, farebbero finta di non conoscerci. Infatti, anche per chi
pone l'accento sul presunto europeismo di Mazzini e Garibaldi, c'è
da precisare, a scanso di equivoci, che quest'europa scombinata e
combinaguai non ha assolutamente nulla a che vedere con quella
vaticinata dai due grandi del nostro Risorgimento, che auspicavano
un'Italia grande e forte, protagonista e artefice della politica
internazionale, entro un'Europa collaborativa, custode delle identità
nazionali, quelle sì una ricchezza e una risorsa da salvare, fatta
di cultura, tradizioni, usanze, costumi, lingue, popoli. Mai, dico
mai, Garibaldi e Mazzini avrebbero voluto un'europa come questa:
anzi, non l'avrebbero immaginata neanche nei loro incubi. Chiaro
dunque che l'attuale contesto ove, sotto il paravento dell'europa, si
stanno annullando popoli e nazioni, abbia generato la paura del
Risorgimento, gloria e vanto dell'Italia: una paura che si nutre di
un'ignoranza enormemente lievitata negli ultimi tempi, in cui è da
vedere addirittura un soprassalto d'invidia e disgusto per ciò che i
nostri avi riuscirono a fare in confronto a noi che non riusciamo a
combinare praticamente nulla, cresciuti come siamo nel senso di colpa
antifascista pubblicizzato da De Gasperi che andò a chiedere scusa a
destra e a manca per aver osato l'Italia dichiarar guerra a qualcuno
e affondare un po' di navi e aerei altrui.
Così,
le insultanti fanfaronaggini che assalgono puntualmente i
protagonisti del Risorgimento, screditando chi lo studia da anni su
migliaia di pagine di documenti e libri seri, provengono da persone
di tutte le risme, tutti i credi e tutti i ceti che si stenta a
credere possano esistere nel 3° millennio, eppure esistono, e mai
come ora servono a chi sta portando avanti la cancellazione
dell'identità nazionale per annegarla nell'europa. Serve questa
massa teledipendente, sostanzialmente incolta anche se in possesso di
ottimi titoli di studio, amante degli scoop giornalistici o
semplicemente dell'aria che tira, permeata di disprezzo verso la
Patria, di vanteria esterofila, mondialista, europeista,
cristianista, di vaneggiamenti internazionalisti, secessionisti,
nostalgici e rabbie personali, e che magari ha letto due o tre
libretti di tono scandalistico su Garibaldi e l'impresa dei Mille, ha
intravisto la fotografia dell'eroe dei due mondi in veste massonica
additata da tutti come uno scandalo, e dunque pretende d'aver capito
tutto e possedere le prove inconfutabili che il Risorgimento fu
generato da una perfida Massoneria internazionale che in realtà non
esisteva affatto. Insomma una babilonia di cialtroni che pretende
pontificare di Storia, e, se continua così, domani pontificherà
anche di Scienza, magari negando che viviamo in un universo di
galassie, e accusando gli astronomi di essere una congrega di
visionari nemici della religione e della tradizione.
Mi
è capitato perfino di leggere la tesi di qualcuno che fa risalire
nientemeno al 1789 (l'inizio della rivoluzione francese, per chi non
lo sapesse) il principio di tutti i nostri guai. Per fortuna non si
tratta di un medico sennò, a fronte di una simile diagnosi, ci
sarebbe da segnalarlo all'ordine. Poiché un ordine degli storici
purtroppo non esiste, bisogna subire gli strafalcioni di questi
personaggi nostalgici del Medio Evo e del rococò, della Santa
Alleanza e della manomorta, i quali sognano restaurazioni di mondi
incantati che il Risorgimento e, prima ancora, l'Illuminismo, la
rivoluzione francese e Napoleone (tre fenomeni collegati tra loro ma
molto diversi l'uno dall'altro e in molti casi opposti) avrebbero
brutalmente travolto, in tal travolgimento individuando i germi
causali delle nostre attuali disgrazie sociali e politiche, che
rappresentano casomai la negazione dell'Illuminismo e il processo
all'inverso di ciò che il papa chiamava sprezzantemente
“modernismo”, e che sono la negazione esatta del Risorgimento.
Non contenti, mentre rimpiangono Franz Josef e il duca di Modena,
Ferdinando II e il papa Re, si guardano bene dal raccontare le
meravigliose dolcezze dell'ancien regime, dove, tra l'altro, potevi
essere arrestato e torturato per un semplice sospetto, e le denunce e
segnalazioni anonime erano la regola. Un mondo meraviglioso, dove
il giovane Luigi Carlo Farini venne trascinato per i capelli in
galera e rovinata tutta la sua famiglia per aver gridato
all'università “viva l'Italia!”.
Non
vi è dunque da meravigliarsi se l'Italia si volse alla monarchia
Sabauda quando questa, unica fra tutte, dismise l'assolutismo,
concesse la Costituzione e la mantenne, osò sfidare l'Austria, osò
sfidare la Chiesa, buttando all'aria tutto un bagaglio
d'insopportabile vecchiume: dalla ghettizzazione degli ebrei al
monopolio del clero nell'istruzione dei giovani, dall'invasione di
ordini e conventi di tutte le fogge e dimensioni che inflazionavano
la penisola, all'endemica assenza dello Stato inteso nel senso
moderno del termine, cioè nell'unico senso possibile in cui si possa
parlare di Stato. Non è un caso che le forze che vogliono abbattere
lo Stato sono le forze anti-risorgimentali; e poco importa che alcuni
tirino fuori il Tricolore quando fa comodo per addolcire la pillola,
o rispolverino Mazzini e Garibaldi per darsi le credenziali che non
hanno o per senso di colpa o chissà quali altre ragioni. Il
Risorgimento va dimostrato coi fatti, e chi ha ridotto lo Stato a un
pallido simulacro destinato a sparire nella completa soggiacenza
all'Europa, è un nemico giurato del Risorgimento.
Contro
il quale la cricca dei guastatori e sabotatori d'avanspettacolo ha da
sventolare una mezza dozzina di ritornelli che ripete ossessivamente,
e contro i quali l'illuministica ragione non ha possibilità di
competere, trattandosi di tesi emotivo-irrazionali che non trovano
riscontro né nei documenti nè nei fatti, e tantomeno nella logica,
ma interessano la psicologia. Una di queste, la più sterile e
ricorrente, è la teoria del “complotto massonico” da cui
sarebbe stata originata l'Unità d'Italia: uno spauracchio agitato da
menti infantili che credono di orientarsi nella scura foresta della
Storia servendosi della guida maldestra di qualche libretto che
semina il panico contro il lupo cattivo rappresentato dalle società
segrete in generale di cui straripava il secolo XIX° e dalla
Massoneria in particolare, risalente al secolo precedente. Il fatto
che qualche centinaio di massoni o ex massoni sparsi per l'Italia e
scollegati tra loro prese parte al Risorgimento, significa per loro
che fu una perfida
Massoneria nascosta a originare il Risorgimento e non che codeste
persone, in via individuale, parteciparono al Risorgimento per i
fatti propri, indipendentemente dall'essere massoni e anzi spesso
uscendo dalla Massoneria la cui natura e struttura risultava
incompatibile con il Risorgimento. Uno dei principi cardine di questa
era infatti che le questioni politiche dovevano esser tenute
rigorosamente fuori dalla vita di loggia che è vita eminentemente
speculativa, e dunque rientravano nella sfera della libertà
individuale di ciascuno. Ci furono massoni che parteciparono al
Risorgimento, e massoni che non vi parteciparono e lo guardarono anzi
con sospetto o sussiego. Nè ciò desta meraviglia, in quanto la
Massoneria cosiddetta “moderna” nacque e prosperò durante
l'ancien regime, di cui rispecchia molti aspetti (anzitutto
l'esasperante formalismo e la deferenza verso l'autorità
costituita), tant'è che vi si affiliarono sovrani (lo stesso Luigi
XVI di Francia), principi, uomini di Stato e funzionari della Polizia
e della Magistratura, nonché rappresentanti della più alta cultura
del tempo. Insomma, l'affiliazione massonica fu una vera e propria
moda settecentesca coltivata nelle alte sfere della società, un
segno di distinzione che attestava il rango altolocato dell'adepto,
la sua levatura, la sua posizione nei ruoli del potere e
“dell'intellighenzia”. Fu piuttosto la crescente diffidenza della
Chiesa a creare problemi ai circoli massonici, ma non perchè
miravano ad azioni sovversive della società, bensì per questioni
eminentemente spirituali: nei “templi” massonici, infatti, si
portavano avanti discorsi che di fatto competevano e concorrevano con
la verità unica rivelata della religione ufficiale che non ammetteva
contraddittori, e la Chiesa non tollerava concorrenti nè poteva
ammettere associazioni ove s'inscenavano riti diversi da quelli suoi
propri. Conseguentemente, non poteva lasciar passare “cammini
interiori salvifici” differenti da quelli rigorosamente previsti da
lei medesima. In tal modo il “Tempio” massonico diventava
inevitabilmente un rivale della Chiesa, un suo nemico giurato,
passibile dell'Inquisizione. Anche se non ne avevano l'intenzione,
anche se si rifacevano a Dio e giuravano sulla Bibbia,
una sorta di presunta laicità e di affrancamento individuale si
poteva sospettare nelle riunioni dei framassoni, in verità
impregnate di un formalismo esasperante, di discorsi ricercati,
involuti e non di rado oziosi, e soverchiate da temibili gerarchie
che di fatto impedivano qualunque esercizio di libertà da parte dei
gradi inferiori, in pieno stile settecentesco. In questo senso,
basata com'era sull'obbedienza e l'adesione cieca dell'adepto, la
Massoneria, anche nelle sue architetture, scenografie e arredi
raffinati, nelle sue vestizioni eleganti, nel suo frasario fine e
nella gestualità sibillina e non di rado incomprensibile, atta a
impressionare i neofiti creando tutto un clima suggestivo di
solennità misteriosa e iniziatica, è stata lo specchio del suo
tempo, e nessun tipo di rivolgimento politico e sociale -e
tantomeno il liberalissimo, scamiciato, rivoluzionario, ardimentoso,
giovanilista, combattivo e passionale Risorgimento italiano-
potevano nascere da essa. Immaginare perciò la Massoneria
settecentesca come una congrega che andava controcorrente per
determinare i cambiamenti e rivolgimenti politici del mondo -la
stessa Rivoluzione francese!- è del tutto anti-storico e campato
per l'aria. Piuttosto è vero il contrario: e cioè che i
rivolgimenti storici che in via spontanea si producevano e si
producono nell'inquieta e imprevedibile società umana, furono
inevitabilmente veicolati in ogni tempo all'interno della Massoneria
dai più intelligenti e culturalmente più elevati dei suoi adepti. E
dunque, sotto questo profilo, la Massoneria è stata una società
permeabile al mondo di fuori, il quale ha inevitabilmente
influito su di essa, rendendola quell'aggregazione cangiante e un po'
camaleontica, oserei dire ondivaga e opportunistica, adattata e
adattabile all'ambiente in cui si trovava e al potere di turno verso
cui si è sempre allocata in posizione di contiguità. Per questo è
più giusto parlare di Massonerie, al plurale, differentemente
sparse nello spazio e nel tempo: perché, al di là di un generico
richiamo alla Casa Madre inglese, ognuna fu espressione dell'ambiente
in cui nacque, dei suoi fondatori e maestri, delle ambizioni e dei
fini specifici che intese darsi in un dato momento
storico.
Per
quel che riguarda l'Italia, la frammentarietà e labilità
particolare delle sue logge massoniche (alcune delle quali si
facevano e disfacevano nel giro di poche settimane) rifletteva la
divisione e instabilità della penisola: fino al 1861, anno della
proclamazione del Regno d'Italia, quando, per ovvie ragioni, si volle
costituire una Massoneria nazionale permeata di ideali
patriottico-risorgimentali e fedele a Casa Savoia, le logge
massoniche erano composte da pochi adepti e caddero in disgrazia con
la caduta di Napoleone, il quale, volendo fare dell'Italia uno stato
subordinato alla Francia, aveva creato una fitta rete di logge
totalmente acquiescienti alla sua politica imperialista, che si
segnalarono per le lodi sperticate e le piaggerie rivolte a lui
stesso, di cui si ritrova precisa eco nei documenti. Va da sé che
questa situazione di precarietà e mutevolezza delle massonerie
italiane non avrebbe consentito nessun tipo di pianificazione così
ambiziosa e impegnativa come quella dell'unificazione nazionale e
della lotta allo straniero (ivi inclusi i francesi), pretesa invece
dagli improvvisati della Storia.
Per
chiarificare ulteriormente questo tema, finito in mano a gente di
passaggio, sono proprio le differenze sostanziali intercorrenti tra
la Massoneria e la Carboneria, dalla quale ultima soltanto si
sviluppò il nostro Risorgimento, a dimostrare che i massoni
costituivano una cerchia aristocratica intellettuale piuttosto
distaccata dalla società e dai suoi reali e prosaici problemi, sui
quali si compiacevano di stendere una visione astratta e utopistica,
basata su costruzioni teoriche e ottimistiche, tipiche della
mentalità settecentesca, ancora legata alla tradizione
monarchico-assolutista, alla rigida divisione delle classi sociali,
all'ossequio della religione ufficiale. Niente di più lontano dalla
Carboneria, dove l'umile conviveva con l'altolocato, dove non solo
bisognava esser pronti alla morte per la Patria, ma anche a dare la
morte ai nemici della Patria, traditori, invasori, tiranni e spie.
Non a caso i “pugnali carbonari” sono ben in vista in alcuni
musei del Risorgimento, e non erano certo dei soprammobili. Anzi, il
pugnale era previsto
anche per le donne carbonare, le cosiddette “giardiniere”, che lo
nascondevano nel reggicalze. Quando, il 15 maggio 1822, lo studente
universitario Mordini accoltellò a morte il capo della Polizia di
Modena Giulio Besini, tristemente famoso per i suoi duri
interrogatori e grande protetto del dispotico duca di Modena
Francesco IV, realizzò un tipico atto carbonaro, distante
anni luce dalla pacifica Massoneria che aborriva azioni del genere.
Come s'è detto, però, la cedevolezza di quest'ultima agli influssi
del contesto storico circostante fece sì che essa entrasse prima o
poi in contatto con la Carboneria e dunque nel mirino della polizia,
ma l'esistenza stessa della Carboneria sta a dimostrare che per
unificare l'Italia e liberarla dallo straniero occorreva ben altro
che le innocue e sparute riunioni massoniche intorno all'architetto
dell'universo, un ben altro tipo di associazione clandestina
enormemente più numerosa, attiva sul territorio, operativa,
militante e armata, i cui proseliti venivano scelti e smistati in
base alla loro capacità di azione, non alle costruzioni
intellettuali. La Carboneria insegnò perciò agli Italiani l'azione
e il sacrificio per la Patria, due cose sconosciute alla
Massoneria, peraltro orientata all'universalismo, e dove, al
contrario, gli adepti, proteggendosi a vicenda, tendevano non già ad
affrontare i pericoli ma a garantirsi benefici, favori e conoscenze,
a ritrovarsi in simposi, feste, teatri e salotti ove l'affiliazione
massonica di Tizio e di Caio era di pubblico dominio: cosa
impensabile nella Carboneria, i cui adepti erano vincolati al più
rigido segreto e chiunque, anche il più insospettabile, poteva
essere un carbonaro, dal notaio al farmacista sotto casa, dal prete
al calzolaio all'angolo, il che dette un gran filo da torcere alle
polizie degli Stati pre-unitari.
Al
contrario della Massoneria che esorbitava in costruzioni teoretiche,
la Carboneria fu carente in quest'ambito, intorno a cui hanno
ragionato gli studiosi di varie epoche cercando enuclearne una
visione chiara e concludendo che non l'aveva. In verità questa
visione chiara doveva averla per forza sennò non si sarebbe
propagata così estesamente su tutto il territorio italiano:
viceversa, proprio il fatto che si sia diffusa ovunque -perfino nella
lontana Dalmazia- fa concludere che solo un verbo e un messaggio
ideale molto forte, univoco e chiaro, era in grado di valicare i
polizieschi confini dei vari Stati italiani così arcignamente
custoditi. E infatti questo messaggio c'era, ed era sorprendentemente
semplice: l'unità e l'indipendenza della nazione, basata
anzitutto sul sangue e sul suolo (concetti sconosciuti alla
Massoneria), rispetto a cui tutto il resto (Costituzione, riforme
varie, questione sociale, monarchia o repubblica) era collaterale.
Pur
tuttavia, la complessità delle vicende storiche e, soprattutto, la
difficoltà di agire contro nemici numerosi e potenti in un
territorio vasto e diviso come l'Italia, finì per creare un insieme
complicato di società segrete emule della Carboneria (gli Adelfi,
i Sublimi Maestri Perfetti, i Raggi, etc.) che a volte
ingenerarono confusione e dispersione, senza contare l'azione di spie
e infiltrati delle varie monarchie, e soprattutto il tentativo dei
francesi di appropriarsi della Carboneria italiana creando una
“Carboneria affiliata a Parigi”, millantando poi le origini
francesi della medesima. Sia che gli agenti francesi in Italia
fossero al servizio della famiglia Bonaparte e mirassero a mettere
sul trono d'Italia un Bonaparte, sia che fossero dei giacobini
anti-bonapartisti (come il filofrancese ed ex partigiano di
Robespierre Filippo Buonarroti) invasati di rivoluzione libertaria
repubblicana, essi cercarono di piegare e distorcere il progetto
carbonaro ad altri fini. Ma fortunatamente ciò non avvenne, perchè
la Carboneria fu più forte di tutte le trame che le si affollarono
intorno. Forti furono i suoi membri, votati alla morte e al martirio,
e il cui sacrificio non fu vano. Essi innalzarono il vessillo più
prezioso del Risorgimento -l'unità e l'indipendenza da ogni
straniero- trasmettendolo alle nuove generazioni che, pur cresciute
nella paura di ciò che vedevano (arresti, patiboli, retate,
intimidazioni, violenze) seppero trasformare quella paura in coraggio
e raccogliere il testimone da chi li aveva preceduti.
Oggi
che ci sarebbe bisogno come non mai di far garrire al vento questa
bandiera per riprendere ciò che è nostro, la nostra stessa dignità
di nazione, ecco che i truffatori e i traditori sono all'attacco,
fomentatori di caos, divisione e bizantinismi intellettuali, e
addirittura hanno sputato su quella bandiera, coi fatti e con le
parole.
Ad
essi vada l'esecrazione degli antenati e la giusta punizione che
meritano dalla Storia.
Maria
Cipriano
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