1) I recenti attacchi alla toponomastica italiana in Alto Adige –
passati quasi sotto silenzio nell'opinione pubblica, salvo rare e
circoscritte eccezioni – hanno risollevato la spinosa questione
linguistica della regione. Dal punto di vista glottologico, le
pretese e le rivendicazioni degli autonomisti hanno qualche
fondamento scientifico?
Premetto
che la verità assoluta non appartiene all'uomo: la verità umana è
figlia del suo tempo, è confezionata spesso ad uso e consumo della
ragion di Stato e della demagogia delle fazioni. La gente crede ai
surrogati di verità, o al limite finge di crederci. La paura di
restare isolati rende docili come le pecore dietro il campano, fa
accettare tutto: guai all'incauto portatore d'una verità diversa da
quella proclamata dal partito, dalle consorterie politiche, dai
banditori al loro servizio.
Ho
i miei limiti, riconosco, malgrado una certa esperienza maturata in
indagini toponomastiche apprezzate dal prof. Carlo Battisti,
glottologo principe, luminare assai noto per la sua profonda umanità
anche al ceto comune del secolo scorso come interprete del capolavoro
cinematografico “Umberto D”
(regia di De Sica).
Innanzitutto
preciso che parecchi toponimi di formazione latina furono
germanizzati e imposti di recente. Ne tratto in studi pubblicati nel
secolo scorso qui sotto citati:
-
"Inchiesta" sui nomi di luogo atesini, I: Sintesi
introduttiva, "Clessidra" 18, Bolzano (Centro Studi
Atesini) 1982.
-
50 nomi in libera uscita, "Spunti e note" 3, Bolzano (CSA)
1986.
-
L'evolversi dei toponimi atesini di origine preromana:
latinizzazione, germanizzazione, italianizzazione, Società
Geografica Italiana, 39-55 (testo della relaz. 25 X 1983 alla Tavola
Rotonda).
-
Toponomastica italiana nella provincia di Bolzano, Bolzano (CSA)
1990,
-
Forse che sì, forse che no (anzi, per niente)
-
Mito e realtà nei nomi di luogo atesini, Bolzano (CSA) 1986 (sotto
eteronimo Silvano Valenti, in polemica con Kühebacher
1986, Deutsch im Spiegel der Namen, in specie sugli pseudo-prediali).
2) Ogni qual volta si affrontano certe tematiche salta fuori il nome di
Ettore Tolomei, accusato di aver italianizzato i nomi di luogo
dell'attuale provincia autonoma. E il suo nome viene accostato al
Fascismo. Evidentemente si fa un po' di confusione in merito. Puoi
chiarirci meglio le idee sul suo operato?
I
denigratori del Tolomei
– trentino italianissimo, ma in verità
fascista assai tiepido – rifiutano di
accettare a scatola chiusa la «verità convenuta» circa i nomi di
luogo atesini di forma italiana che, sostengono, erano sì e no una
trentina prima che il Tolomei li moltiplicasse per mille inventando a
tavolino una toponomastica su misura per i fascisti che la imposero.
Molti trovano questa «verità» prête à porter, assai più comoda
e sbrigativa delle complicate verità contenute nelle pergamene
tarlate e negli indigesti volumi dei professoroni.
3) Riguardo al periodo fascista invece, cosa si può dire sulla
convivenza tra i vari gruppi linguistici? Ci fu realmente, come
sostengono in molti, un esacerbarsi degli atteggiamenti anti-tedeschi
da parte italiana, con conseguente forzata italianizzazione?
Per
la verità, la convivenza fra i due gruppi linguistici dopo
l’annessione fu relativa al tempo del
fascismo in cui non vi fu alcuna discriminazione etnica:
l’uno e l’altro gruppo avevano gli
stessi diritti e doveri ma nessun privilegio.
Questa situazione fu netta e norale prima dell’Anschluß, allorché
l’Austria ottenne con voto plebiscitario l’annessione al Reich
hitleriano: furono i nazisti austriaci (più fanatici e compatti di
quelli germanici) a fomentare la discordia etnica che a sua volta
sfociò nelle opzioni naziste da parte di alto-atesini di lingua
tedesca non pochi dei quali avevano il cognome italiano essendo
trentini intedescati di recente. A questo si opporrà la diceria
della forzata italianizzazione dei cognomi di forma tedesca.
La
discordia fra i due gruppi era comunque insignificante rispetto a
quella attuale impregnata di livore razzista e fomentata anche da
politicanti italioti e da trentini degeneri.
Comunque non ci fu allora un reale esacerbarsi degli atteggiamenti
anti-tedeschi da parte italiana. Tirate le somme, la
forzata italianizzazione dei tedescofoni fu solo occasionale e
trascurabile rispetto all’attuale intedescamento degli italofoni.
4) Qual era al tempo dell’Asse lo
stato della toponomastica atesina?
Giova
precisare che essa fu croce e delizia: croce, per il regime che, con
grinta, difese dal tedesco zuccoduro il nostro diritto di chiamare
nella nostra lingua e come ci pare i luoghi dove siamo nati o viviamo
per lavorare e produrre; delizia, perché il Tolomei, sia pure in
modo incauto e stiracchiato ha resti-tuito ai toponimi una forma
italiana. A dirla tutta in qualche caso il
patriota di Gleno ha fatto autogol ravvisando matrici tedesche in
toponimi di radice inequivocabilmente nostrana
attestata nei documenti più antichi. Per altra via si dà la stura
alla fantasia e si fanno figuracce come appunto nel caso del Tolomei
che spropositò nell’attribuire matrice tedesca a certi toponimi
ladini e pusteresi.
Valga
un solo esempio di manifesta evidenza: documenti atesini di antica
data attestano che gli attuali villaggi di Elle e di Rina si
chiamavano Elina, forma riconducibile a *helina
‘centro sinecistico’ da prelatino *eli
+ suffisso aggettivale –ina.
*Heli ha
riscontro nel lat. Villa e ad esso sono riconducibili Velia (Eléa in
greco) nel Cilento, alquanto a sud di Paestum. Velia si chiamava
anche uno dei tre villaggi sopra il colle Palatino prima della
nascita di Roma sul colle stesso. Velletri si chiamava Velitrae,
Volterra Velathri, la prima in forma latina, la seconda è prelatina
in forma etrusca.
A
questo punto mi concedo una digressione sul termine prelatino che non
è in relazione con il prete modernista azzimato che si scalda al
calore di una società deviata e in peccato mortale.
Prelatino
significa vagamente ‘anteriore al latino’.
Nel caso specifico dei Reti prelatini ho coniato il termine
‘velianico’,
con esplicito riferimento ad *heli-/*veli.
I
miei Veliani, per quanto di intuisce, erano un popolo errante vissuto
per secoli nello stato primitivo. Vien fatto di pensare che essi
parlassero un linguaggio più urlato che articolato.
E
invece, no. Il loro idioma era compiuto e armonioso: era una lingua
singolare, basata su combinazioni sillabiche disciplinate e costanti
che si direbbero uscite da un elaboratore elettronico anziché dalla
mente umana.
Una
sola parola velianica può esprimere un intero concetto: ad es.
calma, che
significa 'culmine pianeggiante, arido e
calvo', rende in due sillabe quanto una
istantanea a colori.
Le
voci velianiche richiamano, per struttura, il rigore della lingua
arabica classica che – a differenza delle derivate varietà
volgari, urlate dai beneficiari dell’accoglienza – compete per
armonia fonetica aggraziata ed impeccabile con la buona lingua
italiana. La ricchezza lessicale del velianico, specie nella
nomenclatura alpestre, denota una fine sensibilità e una assidua
esperienza di frequentazione montana.
Tornando
alla toponimia atesina, da Velathri a Velturno alto-atesino il passo
è breve. Su Velturno bisognerà intenderci. La
forma tedesca Feldthurns è una manipolazione. Nei documenti si
legge: Velturnes. Anzi in un manoscritto
di Bressanone, datato 1666, si legge "Velturno", che è la
forma storica italiana. Sempre da documenti sappiamo che otto secoli
fa il villaggio di Fiè si chiamava Vels (da *feles)
e l'altura di Fia a Tesero –paese natìo di mia Madre – Fella.
Le
rivendicazioni tedesche partono da lontano, ma credo di non sbagliare
se affermo che si fecero sempre più pressanti in loco a partire dal
XIX secolo in opposizione ai moti d'indipendenza nazionale nella
nostra penisola.
5) Il vento risorgimentale spirò anche
nelle città e nelle valli atesine?
L’adesione
alla riscossa risorgimentale non lasciò indifferenti i sudditi di
lingua italiana, soprattutto nella Bassa atesina popolata da
trentini. Cito per tutti il garibaldino
Camillo Zancani da Egna (1820-1888) di cui
Achille Ragazzoni, ‘penna d’oro’ del nostro Centro di Studi di
Bolzano, ha tracciato una encomiabile biografia.
Il garibaldino Camillo Zancani |
6) Che ruolo svolsero le associazione
patriottiche in quelle che all'epoca erano le province meridionali
dell'Impero asburgico?
La
loro attività era quasi esclusivamente culturale, ai fini di tener
viva la coscienza nazionale in una marca di confine italiana
brutalmente intedescata dagli Asburgo con la benedizione dei
principi-vescovi di Trento e Bressanone.
Doveroso precisare che nell’età della controriforma tali principi
vescovi furono prevalentemente italiani di lingua e anche di
sentimenti. Non certo il pentimento per la
brutale germanizzazione linguistica, bensì il timore d’una
adesione dei sudditi al luteranesimo indusse gli Asburgo a non
contrastare la residua presenza italiana nella Contea tirolese
dove, cessato l’intedescamento, l’italianità ebbe una
sorprendente seppure effimera rinascita.
7) Facciamo un
passo indietro. Nel tuo libro Le Fiere di Bolzano – che abbiamo da
poco riprodotto parzialmente, sul nostro sito – tratteggi un quadro
del capoluogo atesino, dal medioevo all'età dei lumi, in cui
italiani e tedeschi hanno una consistenza quasi pari sul
territorio. A quando possiamo datare le più massicce migrazioni da
nord nella regione? E come si distribuiscono tra città e campagna?
La
migrazione allogena più massiccia risale all’alto medioevo: in
massima parte il “tedesco invasore” apparteneva al ceto rurale e
gli italiani erano immigrati dal Trentino, dal Veneto e poi dalla
Toscana dilaniata dalle fazioni nell’età di Dante.
8) Sbaglio nel dire che la componente
latina, impronta lasciata da Roma antica, sia comunque forte e
radicata in Alto Adige più di quanto possa oggi apparire?
Dell’originaria
componente latina sopravvissero, compatti e tuttavia molto
differenziati linguisticamente gli alto-atesini delle valli ‘ladine’
che oggi si atteggiano a razza speciale a sé. Nondimeno,
tedescheggiano per redditizio opportunismo. Molti di loro sono
‘trilingui’ e non
pochi si intedescano per godere i privilegi della razza eletta
‘sud-tirolese’ privilegiata dalla discriminazione razziale
imposta dal trattato Gruber-De Gasperi. Ma se qualcuno di loro emigra
a sud di Salorno diventa linguisticamente italiano come noi.
Statua loricata attribuita a Druso, condottiero romano conquistatore della Rezia |
9) A proposito dell'accordo Degasperi -
Gruber, in molti oggi si richiamano esplicitamente ad esso per
dirimere l'attuale questione linguistica e toponomastica della
provincia atesina. Mi pare invece che tu esprima un giudizio negativo
su di esso. Puoi spiegarci meglio il tuo punto di vista in merito?
A
qualificare la scelleratezza dell’accordo è proprio il De Gasperi
ex parlamentare austriaco servo soave dell’impiccatore Francesco
Giuseppe. Egli stesso si qualificò ‘trentino
prestato all’Italia’
per me, apprezzarlo sarebbe un’ingiuria
al martire Cesare Battisti che per l’Italia ha affrontato il
patibolo; e anche una
offesa alla memoria di mia Madre, irredentista della Lega Nazionale
trentina profuga a Roma dove morì prematuramente, minata nella
salute dalle sue traversie affrontare per amore della Nazione
nostra.
A
qualificarlo sono comunque le condizioni dei miei connazionali di
lingua italiana che, di conseguenza, sono diventati stranieri
in Patria, peggio che metechi. Basti
pensare alla scellerata ‘proporzionale etnica’ che riduce al
minimo la presenza del cittadino di lingua italiana nel pubblico
impiego a favore di quello di lingua tedesca che può farne a meno
essendo ricco di suo come facoltoso proprietario terriero.
10) Mi
piacerebbe capire meglio l'origine dei Ladini. Puoi dirci qualcosa in
più su di loro e sulla loro parlata?
I
ladini non si differenziano sostanzialmente dagli altri italofoni e
neanche fra loro di valle in valle. Paradossalmente nella valle di
Fassa, spaccata in due per secoli da una gigantesca frana, i fassani
del sud intendono la parlata veneto-trentina dell’attigua val di
Fiemme assai meglio che il dialetto dei fassani del nord. Questo
perché in ognuno dei due spezzoni vallivi il dialetto per secoli si
è evoluto per conto suo.
Notare
infine che il fondo lessicale del ladino atesino si differenzia assai
poco da quello veneto-trentino (friulano, fassano e ampezzano) e non
molto dalle varietà veneto-tridentine (fiammazzo, anaune,
valsuganotto). Anzi, il plurale sigmatico latino ereditato dalle tre
citate varietà ladine fuori del territorio atesi-no sopravvive solo
nel gardenese. Tutto qui.
11) Nei tuoi studi ti sei per forza di cose
imbattuto anche nelle popolazioni retiche – cui dedicasti, fra
l'altro, due corposi volumi intitolati “La lingua dei Reti”.
Quanto la loro arcaica lingua ha inciso sulla toponomastica del
territorio?
Stranamente
la lingua dei Reti - che ha vaghe affinità con l’etrusco - per
quanto mi risulta da una indagine molto sommaria, non ha riscontri
sicuri nella toponomastica e nemmeno negli attuali dialetti dell’area
retica.
Statuina retica, dal Museo di Sanzeno |
12) In conclusione, come pensi possa esser
sanata la difficile situazione venutasi a creare in Alto Adige nel
corso degli anni?
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