Demetra/Cerere, divinità della terra coltivata. |
Recentemente
stiamo assistendo ad una inversione di tendenza rispetto a quanto
accadeva nei decenni passati: molti giovani stanno pensando di
ritornare all’agricoltura. Sicuramente uno dei validi motivi è
quello ambientale: l’aria aperta, la natura e i suoi prodotti, il
susseguirsi delle stagioni appaiono senz’altro una buona
alternativa a molti lavori al chiuso, ripetitivi, spesso
esclusivamente intellettuali.
Inoltre,
complice la difficoltà a trovare lavoro in altri settori,
l'agricoltura risulta, di primo
acchito, una valida alternativa a impieghi temporanei o
insicuri.
Al
tutto si aggiungono i mezzi di informazione, i quali forniscono
visioni dell’agricoltura quasi “idilliache”, tutte rose e
fiori, ma che purtroppo non
corrispondono alla realtà. Trasmissioni tipo “Linea Verde”
costruiscono l'immagine di un’agricoltura di élite fatta di
eccellenze IGP, DOP, DOC, eco-sostenibile, biologica, biodinamica,
giovane, attiva e tante altre belle parole. Un racconto attraente, ma
a dir poco fuorviante. Queste trasmissioni, infatti, non ci
raccontano tutta quella parte di agricoltura tradizionale, che è poi
la maggioranza, immersa in una legislatura concepita a Bruxelles e
presa e messa lì dallo stato italiano, il quale poi scarica sulle
regioni il compito di dirimere l'intricata matassa burocratica, con
il risultato di creare la più totale confusione tra enti ed
agricoltori; non ci parlano di un'agricoltura dove i costi delle
materie prime e dei combustibili sono esorbitanti e la concorrenza da
parte di paesi esteri è a dir poco spietata; e men che meno
testimoniano l'inerzia del governo di fronte alle reali difficoltà
del comparto agricolo. Di contro a questa “favola imbellettata”
dell'agricoltura italiana, si pone tutt'altra storia.
Olivi abbattuti, a causa della Xylella, per ordine di Bruxelles. |
Più
che in altri settori, l'agricoltura risente dell'ingombrante presenza
dell'Unione Europea, madre di una legislazione puramente teorica, ai
limiti dell'assurdo, creata spesso con l'intento di dar vita ad un
mostro burocratico che costringe gli agricoltori ad un continuo
adeguamento spesso impossibile, poiché molto costoso, contrastante
con altre norme o addirittura materialmente impraticabile (ma
assolutamente sanzionabile!). Inoltre, l'eccessiva
burocrazia toglie tempo materiale e risorse ai lavori agricoli
costringendo gli agricoltori stessi ad impegnarsi in prima persona in
mansioni che non gli competono. Siamo abituati a vedere il lavoro
compreso nelle canoniche 8 ore, ma spesso si dimentica che in
agricoltura non ci sono orari, ferie, domeniche o festività: i
lavori agricoli assorbono per intero la giornata, specialmente nei
casi dei piccoli coltivatori, nella maggior parte impossibilitati a
garantirsi manodopera salariata e perciò costretti
a fare salti mortali per adempiere a tutte le prassi richieste.
Come dicevamo, in contrapposizione alla
preponderanza delle politiche comunitarie c'è l'inconsistenza del
nostro ministero, dal 1993 sempre più declassato e svuotato di
competenze, rinominato cento e più volte, retto quasi sempre da
avvocati o politologi e ridotto ad occuparsi più di “marketing”
che di agricoltura.
Un
quadro che va a peggiorare ulteriormente le già difficili condizioni
in cui sono costretti ad operare gli agricoltori.
Infatti,
si tende troppe volte a dimenticare che, rispetto ad altri settori,
l’agricoltura è soggetta ad un rischio d'impresa molto alto,
poiché il buon risultato di una coltura dipende, oltre alle capacità
dell’agricoltore, anche dall'imprevedibilità del tempo
meteorologico, dall’andamento stagionale, da attacchi di patogeni
ecc. Basta una semplice grandinata o l'arrivo un nuovo insetto per
mettere in ginocchio un'azienda.
Esemplare di Cimice Asiatica, insetto che sta mettendo in seria difficoltà la frutticoltura italiana. |
Chi
in Italia volesse cimentarsi nell’apertura di una azienda
agricola, con lo scopo di dare sussistenza a sé ed alla propria
famiglia, spesso non ha la benché minima idea di quello a cui sta
andando incontro.
Come
già detto l’impresa agricola è prima di tutto un’azienda che ha
oneri, vincoli, adempimenti fiscali e burocratici come ogni altra
azienda di qualsiasi altro settore. È inutile fantasticare su
un'agricoltura di auto-sussistenza, dove si produce ciò che è
necessario per il proprio fabbisogno, svincolati dal mercato. La
realtà è diversa: oggi si produce per vendere e per ottenere un
reddito. Tutto il resto sono chiacchiere! Anche ipotizzando un
eventuale cambiamento di rotta rispetto all'andamento attuale, le
dinamiche produttive e commerciali sono comunque mutate nel comparto
agricolo, che non è rimasto ancorato a sistemi alto medioevali, ma
è anch'esso figlio della rivoluzione industriale. Per questo è
inutile che le associazioni di categoria, in linea con i dettami
ministeriali, si spendano nella tutela delle nostre eccellenze
agro-alimentari – spesso e volentieri prodotte con materie prime
estere - ma restino sostanzialmente mute riguardo alle vere battaglie
da combattere. A che serve difendere il salamino di una sperduta
valle alpina senza che esista una strategia di tutela di tutta
l'agricoltura a livello nazionale? Praticamente a niente! È un po'
come lamentava a suo tempo il nostro Ferruccio Bravi riguardo i
dialetti e la lingua nazionale: non si salvano quelli se non ci si
prende adeguatamente cura dell'altra.
Perché
non si punta piuttosto ad ottenere un'adeguata politica di
regolamentazione dei prezzi di mercato?
Perché
non viene valorizzata la domanda interna della nostra produzione
agricola e si permette invece l'arrivo di enormi quantità di
prodotti esteri che hanno la capacità di abbassare ulteriormente i
prezzi delle materie prime?
Perché
si eliminano i dazi doganali con alcuni paesi ma si accettano
embarghi verso altri, storicamente nostri partner commerciali,
rimanendo due volte fregati?
Evidentemente
le politiche commerciali sono volte a “favorire” il settore
secondario e terziario a discapito del primario, costretto a calarsi
le braghe di fronte all'imposizione di prezzi dettate da industrie di
trasformazione e grande distribuzione organizzata che con l'apertura
dei mercati internazionali hanno trovato la strada spianata per il
loro gioco a ribasso.
A
quanto pare, ma ormai dovrebbe esser evidente, non siamo padroni a
casa nostra. È anzi precipuo dovere assecondare il volere di altre
nazioni, anche a nostro discapito (vedi le sanzioni alla Russia,
dettate all'Unione Europea dal nostro storico “alleato” d'oltre
oceano, rivelatesi un'ingente perdita di miliardi ricaduta sulla
pelle dei nostri coltivatori).
È
necessario allora far capire ai più quanto sia difficile per
un'azienda agricola, al giorno d'oggi, ottenere non solo un reddito
non solo sufficiente al sostentamento della propria famiglia, ma
anche capace di garantire previsioni di sviluppo e miglioramento.
Perciò abbiamo deciso di stilare un bilancio aziendale, prendendo a
riferimento il caso di un'azienda agricola di piccole-medie
dimensioni (30 ettari), dotata di casa colonica e fabbricato rurale
(ricovero macchine) che produce, per semplicità, soltanto mais.
Trattasi di un bilancio esemplificativo (è difficile trovare oggi
un'azienda di 30 ettari che produce solo e soltanto mais), ma che
rispecchia abbastanza fedelmente la realtà del mercato agricolo
odierno.
Analizzeremo
dapprima i ricavi che si possono ottenere dalla coltura. Da questi
sottrarremo tutti i costi di produzione necessari a completare il
ciclo colturale per ottenere il reddito netto della coltura (quindi
la nuova ricchezza prodotta attraverso il lavoro).
RICAVI
Un
ettaro irriguo produce mediamente 12000 Kg di granella di mais.
Considerando il prezzo medio per Kg di granella essiccata di 0,15 €
si ottengono:
12000
Kg * 30 ha * 0,15 €/Kg = 54000,00 €
a
questi vanno sommati i contributi elargiti dall'Unione Europea a
sostegno del settore agricolo:
Contributi
PAC = 250 €/ha * 30 ha = 7500,00 €
Totale
ricavi = 54000+7500 = 61500 €
COSTI
Le
spese riguardano l'acquisto di tutti i fattori produttivi necessari
alla coltivazione ed alla gestione del fondo per l'intero ciclo
colturale: le quote di ammortamento (spese da accantonare annualmente
per poter riacquistare mezzi meccanici e fabbricati) e le spese varie
(spesa per l'acquisto dei prodotti necessari alla coltivazione del
mais).
-
Quote di ammortamento:
Si
calcola dividendo il valore a nuovo del macchinario per la sua durata
stimata:
Macchinario
|
Valore
€
|
Durata
stimata anni
|
Quota
ammortamento
|
Trattore
120 CV
|
€ 50.000,00
|
15
|
€ 3.333,00
|
Erpice
a dischi
|
€ 7.000,00
|
15
|
€ 467,00
|
Aratro
4 vomeri voltaorecchi
|
€ 22.000,00
|
15
|
€ 1.467,00
|
Seminatrice
di precisione
|
€ 18.000,00
|
10
|
€ 1.800,00
|
Botte
per trattamenti
|
€ 7.500,00
|
10
|
€ 750,00
|
sarchiatrice
|
€ 6.000,00
|
10
|
€ 600,00
|
Spandiconcime
|
€ 6.000,00
|
10
|
€ 600,00
|
Estirpatore
|
€ 3.000,00
|
15
|
€ 200,00
|
Botte
gasolio
|
€ 1.000,00
|
15
|
€ 67,00
|
Rotolone
e impianto di irrigazione
|
€ 20.000,00
|
10
|
€ 2.000,00
|
Mezzo
aziendale
|
€ 20.000,00
|
15
|
€ 1.333,00
|
Attr.
varia
|
€ 5.000,00
|
10
|
€ 500,00
|
Totale
valore €
|
€ 175.500,00
|
Totale
quote €
|
13117
€/anno
|
A
queste si devono aggiungere le spese di manutenzione ordinaria che
incidono circa il 4,5 % del valore a nuovo:
175500
* 4,5% = 7898€/anno,
e
le quote di ammortamento e manutenzione dei fabbricati:
per
il calcolo si considera un valore a nuovo di 100000 € per la casa
colonica e 50000 € per il fabbricato rurale : le quote di
ammortamento e manutenzione incidono per circa l' 1 % all'anno:
150000
* 1% = 1500 €/anno
TOTALE
QUOTE : 13117+ 7898 + 1500 = 22515 €/anno.
SPESE
VARIE : riguardano l'acquisto di tutti i fattori produttivi, dalla
semina alla raccolta, necessari a realizzare la produzione.
Concimi
|
||||
18-46
|
200
Kg/ha
|
30
ha
|
0,45
€/Kg
|
€ 2.700,00
|
Urea
|
150
|
30
ha
|
0,35
€/Kg
|
€ 1.575,00
|
Semente
|
||||
Seme
mais
|
3
conf/ ha
|
30
ha
|
60
€/conf.
|
€ 5.400,00
|
Fitofarmaci
|
||||
Diserbante
in preemergenza
|
30
ha
|
50
€/ha
|
€ 1.500,00
|
|
Diserbante
in postemergenza
|
30
ha
|
40
€/ha
|
€ 1.200,00
|
|
Insetticidi
|
30
ha
|
25
€/ha
|
€ 750,00
|
|
Operazioni
meccaniche
|
||||
Mietitrebbia
|
0,02
€/Kg
|
30
ha
|
12000
Kg
|
€ 7.200,00
|
Essiccazione
|
0,025
€/Kg
|
30
ha
|
12000
Kg
|
€ 9.000,00
|
Varie
|
||||
Gasolio
|
40
€/ha
|
30
ha
|
€ 1.200,00
|
|
Contributi
previdenziali
|
€ 3.000,00
|
|||
consulenze
|
€ 4.000,00
|
|||
TOTALE
|
€ 37.525,00
|
|||
REDDITO
= 61500 - (22515+ 37525) = 1.460 €
Nonostante
il bilancio risulti positivo, la cifra è a dir poco irrisoria per il
sostentamento annuo di una famiglia o per fare eventuali investimenti
aziendali. Si può notare che i margini di guadagno sono molto bassi
e lo sono perché originati da una discrepanza strutturale per
cui le aziende agricole utilizzano mezzi di produzione
industriali, ad alto costo, per ottenere prodotti agricoli, a
bassissimo prezzo. Ed è per tale motivo che se qualcuno volesse
cimentarsi a modificare il bilancio noterà la maggiore incidenza, in
senso positivo, di qualche centesimo in più sul prezzo del mais
rispetto ad un qualsiasi calo della pressione fiscale – di per sé
già bassa per le aziende agricole. Ma non sia mai! Si preferisce
piuttosto erogare alle aziende pseudo-contributi o – è notizia
fresca fresca – spingerle a stilare polizze assicurative agevolate
sui ricavi del grano (se il reddito di un ettaro è troppo basso,
l'assicurazione compensa la perdita del cliente in base a delle medie
triennali). Tutti sistemi tesi a far lavorare banche e assicurazioni,
col beneplacito dello Stato, a discapito dei produttori, oramai
“drogati” di assistenzialismo ed incapaci di reggersi in piedi da
soli.
Di
questo passo, però, non c'è via di scampo. L'agricoltura italiana
verrà lentamente spazzata via. Resisteranno forse alcuni comparti di
essa – oleario ed enologico – gestiti da grosse società e tesi
ad una produzione di nicchia, volta a soddisfare raffinati palati
esteri dai portafogli gonfi e pronti a spender fior di quattrini per
soddisfare le proprie “biologiche” voglie. Il settore
orto-frutticolo stenta più che mai; per non parlare dei cereali e
dell'allevamento. Sembra destinata ad un miserrimo tramonto l'era dei
Coltivatori Diretti quando, sull'onda scaturita dal Fascismo (le
bonifiche dell'agro pontino, l'assalto al latifondo, il forte
incentivo alla ricerca etc etc), la Democrazia Cristiana cavalcò
l'epopea della piccola proprietà coltivatrice. Ricordi del passato.
Domina oggi un permanente stato di solitudine e abbandono tra gli
agricoltori, relegati ad ultima ruota di un carro destinato allo
sfacelo.
Questa
assenza di un sentimento comune e condiviso è presente in tutta
l'economia italiana, ma tanto più forte si fa sentire tra i
contadini. Lo Stato ha rinunciato al suo ruolo di pastore e si è
fatto cane. Non guida, non indica la strada, ma esegue comandi, morde
e tiene nei ranghi. Manca totalmente una strategia condivisa, uno
sguardo volto al futuro ed è quanto di più grave si possa
immaginare. Soprattutto oggi in cui il mondo si evolve e cambia con
una rapidità impressionante. La ricerca scientifica e la tecnologia
fanno passi da gigante ed aprono scenari fino a qualche decennio fa
impensabili. Uno Stato serio, uno stato con la S maiuscola, dovrebbe
capire queste cose e avere gli strumenti adatti a leggere l'evolversi
dell'economia su scala internazionale ed operare di conseguenza delle
scelte, prendendo decisioni in materia. Dovrebbe esser capace di fare
leva sulle Università incentivando ricerca, studio e sviluppo,
invece di lasciare che siano le multinazionali del settore agricolo
ad incentivare e poi usufruire dei risultati ottenuti dai nostri pur
sempre validi atenei. Prendiamo ad esempio gli OGM. Senza entrare nei
particolari e nei tecnicismi, se ne è fatto un gran parlare, con
orde di giornali e giornalisti a farsi in quattro per difenderli o
condannarli a spada tratta. Ma non avremmo dovuto forse soffermarci
con più serietà e rigore scientifico al riguardo, analizzando
l'andamento internazionale in materia e fare saggi, prove,
sperimentazioni, prima di metterli definitivamente al bando? Perché
è inutile negare ai nostri coltivatori la possibilità di seminare
mais geneticamente modificato, se poi non si difende la nostra
specificità, non la si fa pesare adeguatamente sui mercati e non la
s'incentiva. S'importano bensì tonnellate e tonnellate di mais OGM,
brevettato all'estero, ottenendo il semplice risultato di distruggere
il nostro mercato interno. Che senso ha tutto questo? La Russia, per
esempio, si è opposta alla coltivazione di varietà OGM, ma ha posto
dazi sulle importazioni, ha coscientemente difeso i propri
produttori, non li ha lasciati in balia di una concorrenza spietata.
Si è posta un obbiettivo, ha messo in atto una strategia.
È
necessario quindi che lo Stato torni a considerare l'agricoltura come
un settore da rivitalizzare e non un malato da mantenere in vita,
non tanto per una semplice convenienza economica, tenuto conto che
rappresenta un settore minoritario rispetto al passato, ma anche
guardando al beneficio che il territorio e le genti che vi lavorano
ne conseguono. L'agricoltura è uno dei punti di partenza , così
come gli altri settori primari, di tutta quella trafila commerciale e
produttiva che permette la sussistenza degli altri settori. E non
solo: essa rimane pur sempre la radice, l'origine della nostra
Civiltà. Il suo valore, alla fine, esula dalle semplice produzione,
ma nasconde al suo interno una radice spirituale. Quando un terreno
viene abbandonato perché lo Stato fa in modo che non sia più
conveniente coltivarlo, non si perde solamente un po' di produzione
agricola, ma se ne va anche una sapienza avita, il rispetto e la
salvaguardia del territorio, uno stile di vita che ci appartiene più
di ogni altra cosa, forse il vero legame tra uomo e natura, poiché è
solo dando alla terra con rispetto che essa frutta.
D'altronde
non dimentichiamo che il verbo latino colere, compreso nella parola
agricoltura, significa non solo coltivare, ma anche abitare,
frequentare, trattare con riguardo, onorare, venerare, osservare e
sottende a qualcosa di più profondo ed amplio del semplice lavoro.
Per il latino coltivare i campi e venerare gli Déi erano racchiusi
nello stesso verbo. Ed ancora oggi, in questo mondo profondamente
materialista, l'agricoltura rappresenta uno degli ultimi baluardi
spirituali all'interno del mondo del lavoro. Perché l'agricoltore
sonda una materia viva, plasma la terra, custodisce e al contempo
innova, coniugando in sé l'origine e l'avanguardia, novello e
fecondo pioniere di una risorgente Civiltà del Lavoro.
Gruppo di Studio AVSER
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